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©2024 Netflix, inc
“Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio”.
È probabilmente uno degli incipit più belli e famosi della letteratura mondiale e, forse per questo, gli sceneggiatori hanno avuto il buon gusto di non toccarlo quando hanno concepito l’inizio di Cent’anni di solitudine, la serie. Non si può dire lo stesso delle restanti pagine del capolavoro di Gabriel Garcia Marquez, uscito per larghi tratti edulcorato dall’operazione made in Colombia sotto l’egida di Netflix. Disponibili solo i primi otto episodi dei sedici complessivi, sufficienti per farsi un’idea.
L’imponente impresa mai tentata prima – forse una ragione c’era – è portata avanti da Alex Garcia Lopez e Laura Mora Ortega con una riverenza comprensibile, preoccupata di salvaguardare soprattutto la fama del romanzo, ridotta all’epopea dei Buendía e alla fortunata formula del realismo magico. Quei segni particolari da trattazione Bignami, cui la prosa televisiva si accosta con ulteriore semplicità di sintesi e un po’ di disagio quando si tratta di addomesticare la potenza sovrannaturale del romanzo. Il mondo dell’imponderabile, quell’esplosione poetica dove le fantasie dello scrittore trovavano asilo nelle potenze occulte della natura e nell’immaginazione del lettore, deve fare i conti qui con la trasparenza piatta e perimetrata del medium, con un effetto da bizzarria gitana simile alle alchimie portate a Macondo dallo zingaro Melquíades.
Non meno questionabile è il trattamento narrativo, che privilegia l’orizzonte melodrammatico dell’intreccio a discapito del contesto storico e geografico e delle coordinate socio-culturali tracciate da Garcia Marquez. Detto in soldoni, siamo più dalle parti della soap latinoamericana che da quelle dello sceneggiato popolare. Resta però la forza di una storia che anche il piccolo schermo non può mortificare, con alcuni momenti visivamente suggestivi. Così, come nel romanzo illustrato può avvampare di colpo la fiamma dell’opera originale, così in questa riproduzione seriale di Cent’anni di solitudine è possibile talvolta ritrovare l’eco della Macondo di Gabo. Merito di uno sforzo e di uno sfarzo produttivo comunque notevole e, a partire dai protagonisti Marco Gonzàles e Susana Morales, della verace presenza scenica di corpi attoriali autoctoni, da cui riceviamo ondate di sensualità colombiana. Forse come omaggio a Gabo nel decennale della morte (il trattamento è avvenuto con il consenso della famiglia dello scrittore) può bastare. Per riviverne la grandezza invece ripassare dal romanzo.