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Terapia di famiglia, come uccidere il capostipite e vivere felici. O quasi. Rian Johnson ama stressare i generi, potarli al limite. Conosce le regole, ma non resta nei canoni, sa come rielaborarli, mettendo anche a disagio lo spettatore. In Looper – In fuga dal passato aveva inserito l’esecuzione di un bambino in una storia targata Disney, per poi dare una sua versione dell’eredità lasciata da Terminator, e non solo. Il suo estro ha poi trovato terreno fertile nel dibattuto Star Wars: Gli ultimi Jedi. Ha preso il mito e lo ha attualizzato, omaggiando altri universi, non avendo paura di osare, di allontanarsi dall’anima più classica del franchise.
Johnson ha reso il suo cinema qualcosa di “estremo”, ardito, decisamente coraggioso. Sfida i puristi, sceglie strade poco battute, provoca nella sua originalità. E anche in Cena con delitto – Knives Out continua il suo percorso di destrutturazione, dedicandosi al giallo. L’impostazione è quella del whodunnit alla Agatha Christie: un misterioso omicidio, una villa da re, tanti sospettati che avrebbero “ottime” ragioni per eliminare la vittima (siamo dalle parti di Assassinio sull’Orient Express). La polizia vorrebbe archiviare il caso alla svelta, ma un brillante detective si prepara a far luce sul mistero.
Si chiama Benoit Blanc ed è interpretato da un insolito Daniel Craig. Il nome europeo fa il verso al belga Hercule Poirot, di cui Blanc è la versione americana. È sornione, colto, sa aspettare, ma non è imperturbabile. A differenza di Poirot, ha la fisicità di 007, che Johnson con intelligenza disinnesca e non esalta. Si destreggia tra Colombo e Philo Vance, è sempre elegante, mai fuori posto, fuma il sigaro (non la pipa come Sherlock Holmes), ma non si prende troppo sul serio, e a volte sembra una parodia (voluta) dell’investigatore privato tout court.