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Rapsodia su una notte di vento: “La luna ha perduto la memoria. Un vaiolo slavato le screpola la faccia, attorce con la mano una rosa di carta, che profuma di polvere e di eau de Cologne”. La luna è solo una delle protagoniste della celebre ode notturna scritta da Thomas Stearns Eliot. Il regista Trevor Nunn si ispira a quei versi per scrivere il testo di Memory, musicato dal grandissimo Andrew Lloyd Webber. Nasce una delle canzoni da palcoscenico più famose di sempre, presentata poi al mondo nel 1981. Se non è ancora chiaro, stiamo parlando di Cats.
Già quarant’anni fa il musical sembrava un po’ eccentrico. Tripudio di balletti e coreografie legate da un esile filo conduttore, storie di gatti e non. Sul palcoscenico poteva anche funzionare: uomini simili a felini, con almeno una grande hit in cartellone. Ma sullo schermo si assiste a un’orgia di effetti speciali decisamente non impeccabili, dall’esito straniante. Gli attori mantengono i lori volti, le forme del corpo, ma sono ricoperti da una folta pelliccia. È il trionfo del kitsch, di una follia dal budget esorbitante.
Di Cats si riconosce la volontà di chiudere un cerchio. A cantare Memory nel 1981 doveva essere addirittura Judi Dench, ma alla fine la parte andò a Elaine Page (da recuperare anche la versione cantata da Barbra Streisand…). Allora la Dench si era fatta male durante le prove. Oggi, per questioni di età, non può più prestare il volto a Grizabella, la gatta disperata che vive ai margini. E si cala nei panni della Old Deuteronomy, che in realtà era un personaggio maschile. Old Deuteronomy è il capo dei Jellicle Cats, e ha il compito di scegliere chi potrà rifarsi una nuova vita. Al fianco della Dench, troviamo Idris Elba, Taylor Swift, Ian McKellen e Jennifer Hudson.
L’intera operazione collassa sotto il peso della sua ambizione. Il teatro non si fa cinema, l’effetto scult è dietro l’angolo. Il regista Tom Hooper si concentra più del dovuto sui primi piani, come in Les Misérables, e tutto diventa ancora più respingente. La volontà sarebbe di rendere omaggio all’opera di Webber, esaltare il tema della rinascita che ha sempre accompagnato i lavori del grande musicista. Fin da Jesus Christ Superstar (con la voce di Ian Gillan dei Deep Purple) il suo desiderio è stato di rivisitare i testi “sacri”, dare una speranza anche ai dannati, come Giuda.
In Evita, il peronismo viene ribaltato, il focus è sull’unico angelo in cui l’Argentina e il mondo intero avevano bisogno di credere: Evita Perón (Madonna, sullo schermo). Che, come una mamma, si rivolge alla sua gente con Don’t Cry for Me Argentina. E ancora: Il fantasma dell’opera. Un artista sfigurato che vuole ripartire dall’amore, e si strugge in The Music of the Night. Per arrivare fino al 2015, al suo School of Rock sulla scia di Linklater, dove la felicità sorgeva da una chitarra e da una classe di ragazzini scatenati. Comporre per ripartire, per regalare emozioni, per dar voce anche a chi non è umano, ad animali e a treni (Starlight Express).
Sbeffeggiato ai Golden Globe e agli Oscar, addirittura modificato mentre era già in sala, Cats è in lizza per aggiudicarsi l’antipremio Razzie per il peggior film dell’anno. E in questo molto probabilmente è il favorito. È il baratro di ogni spirito visionario, un pasticcio oltre il limite, impossibile da immaginare. E Taylor Swift, che prova a rialzarne le sorti, viene fatta sparire dopo pochi minuti.