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A inizio Novecento, e per qualche decennio, Capri non è la possibilità di un’isola, ma la possibilità del mondo. Ci sono tutti, tutti quelli che un altro mondo possibile lo vogliono: poeti, artisti, profeti, socialisti, futuristi, anarchici. In breve, tutti quelli che nell’arte, la politica o la società anelano e preparano la rivoluzione.
E’ Capri, dove si pianifica quella russa; Capri, dove Bogdanov, Lunacˇarskij e Gor’kij mettono in piedi la prima scuola superiore di propaganda e agitazione per operai; Capri, dove la dolomia copula col mare; Capri, dove il non-luogo aspira a essere il luogo, l’unico.
A Capri Mario Martone appone Revolution, e ci fa un film, in Concorso a Venezia 75. Un film che la storia la tiene presente ma non vi aderisce supino, e nemmeno insegue nomi e nomenclatura, tenendo sullo sfondo e implicito: Martone cerca il paradigma umano, e sembra portare a sintesi le sue ultime prove, dal risorgimentale Noi credevamo, qui distillato in un medico socialista (Antonio Folletto) che parte volontario per la Grande Guerra, al pessimismo cosmico leopardiano de Il giovane favoloso, che ne circoscrive la poetica, e al radicamento sessuale de L’odore del sangue.
A differenza di qualche precedente, però, non gli interessa la carta bensì il territorio: uomo, fauna, flora, affidati a un andamento arcaico, danzante, estatico, scientifico come se fossero le stagioni.
Il moto di rivoluzione, almeno quello centrale e quello prediletto dal regista e sceneggiatore con la moglie Ippolita di Majo, spetta a Lucia (Marianna Fontana), una capraia non disposta a negoziare la propria libertà: il padre muore, la madre (Donatella Finocchiaro) osserva, i fratelli intimano, lei porta fuori il gregge e si porta fuori dal gregge, prima spiando e poi avvicinando i giovani nudi e danzanti di una comune, ovvero l’artista-profeta Seybu (Reinout Scholten van Aschat). Medico, artista e capraia sono tre poli senza, da qui il pessimismo, reale osmosi, possibilità di scambio, condivisione: dice Martone, siamo quel che siamo, e manco abbiamo troppa voce in capitolo.
Il mondo è in guerra, c’è chi si strugge per i fratelli che l’hanno ripudiata, chi – “Egli danza”, diceva Welles di Fellini ne La ricotta – danza comunque e chi parte, e sono tre destini che si toccano, al più, perché corpi, perché carne e sesso, ma che non si uniscono, e come potrebbero? Lucia impara l’italiano, l’inglese, e dispensa consigli d’orticultura ai comunardi, ma – l’ironia di Martone è ghiotta – tornata da mamma ha un unico lascito: “Bevi tanta acqua, è importante”.
Fotografia estatica senza fronzoli di Michele D’Attanasio, montaggio osservante di Jacopo Quadri e Natalie Cristiani, musiche in campo di Sascha Ring e Philipp Thimm, Capri Batterie – titolo provvisorio – desume energia elettrica dai limoni, arte dall’incomunicabilità e futuro dall’impossibilità: se nemmeno l’isola ha una possibilità, non resta che il mare. E, forse, un nuovo mondo.