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Come ti cucino a (fuori) fuoco lento il cannibale? La relazione malata tra Issei Sagawa e il fratello Jun è servita.
Issei, allora 32enne studente alla Sorbona, venne arrestato il 13 giugno 1981 mentre nel laghetto di Bois de Boulogne cercava di liberarsi di due valigie contenenti i resti putrefatti di una sua compagna di studi, l’olandese Renée Hartevelt. L’aveva assassinata, con un colpo di pistola alla nuca, due giorni prima, quindi l’aveva stuprata e poi mangiata parzialmente, partendo dal gluteo destro. Dichiarato insano di mente e inabile a sostenere un processo, venen estradato in Giappone due anni dopo: il 12 agosto 1985 è uscito dall’ospedale psichiatrico.
E’ Caniba, diretto dai registi-antropologi Verena Paravel e Lucien Castaing-Taylor, in cartellone agli Orizzonti di Venezia 74.
Il focus è sul rapporto tra Issei, che tornato in patria ha fatto l’attore in film porno, nonché ha realizzato un manga – davvero bello – sulla sua impresa antropofaga, e Jun, che a sua volta cerca da una vita di infliggersi il dolore perfetto con filo spinato, coltelli, pungoli e spilli. Insomma, due fratelli coltelli, cui i due registi cercano di rendere giustizia, cercando un controcampo filosofico, perfino etico alle pulsioni cannibali di Issei.
Lo seguiamo nella sua casetta nei dintorni di Tokyo, male in arnese dopo un infarto, prostrato dal diabete, accudito dal fratello Jun, ma il problema è come lo seguiamo. Con close-up e fuori fuoco che rendono quasi inintellegibili le immagini. Perché? Si direbbe per frustrare il nostro voyeurismo, tutelare il mostro, particolareggiare, senza esemplarità, il tutto. Ci pare un accorgimento tanto pavido quanto ipocrita, che peraltro accosta ulteriore fastidio alla noia costante e senza rimedio dello spettatore. Visione parcellizzata, film senza quid, altro che scandalo.