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Potrebbe esserci un legame tra le venature kitchen sink del regista Tony Richardson e il cinema di Chiara Bellosi. Calcinculo a tratti si specchia in Sapore di miele del 1961. Entrambe le storie affrontano adolescenze turbolente, scoperte sessuali, scontri generazionali. Per Richardson la giovanissima protagonista era in balia di una madre disturbata, con gravi questioni di sopravvivenza quotidiana. Trovava rifugio nell’amicizia di un omosessuale, prima di restare incinta di un marinaio di passaggio.
In Calcinculo Benedetta ha quindici anni, un problema alimentare e una grossa difficoltà di dialogo con i genitori. Vive ai margini, non sopporta la scuola, non ha amici, fino a quando incontra Amanda, transessuale. Tra loro nasce un’intesa, un legame forte, nonostante gli eccessi di Amanda e la voglia di fuga di Benedetta. Calcinculo è un gioco a due, periferico, segreto, che ancora una volta descrive un universo chiuso. Quasi come in Palazzo di giustizia, l’esordio di Bellosi, dove in un’aula di tribunale un benzinaio veniva processato per omicidio, e nel corridoio aspettavano due bambine: la figlia della vittima e quella dell’imputato.
C’è sempre un rapporto profondo tra il dentro e il fuori, tra verità che faticano a comunicare, nelle vicende narrate da Bellosi. La cineasta ragiona sulla solitudine, sull’incapacità di esprimersi. Benedetta guarda Amanda e non parla, non sa che cosa dire. Ha solo bisogno di una presenza vicino a lei. E i calcinculo? Sono quelli che si prendono nella vita, ovvio. Ma per come li descrive Bellosi corrispondono alla giostra dei luna park. Li chiamano anche “seggiolini volanti”. Al corpo centrale sono collegati dei seggiolini appunto, appesi a delle catene. Chi sta dietro spinge quello davanti con dei calci, mentre il tutto gira su sé stesso. Nella scena forse più espressiva del film, Amanda e Benedetta ci vanno insieme. Tra sorrisi trattenuti e difficoltà nel confessare i propri sentimenti, raggiungono l’unico momento di evasione. Per un attimo il mondo si ferma, i traumi restano a terra, non toccano i protagonisti nell’aria.
Bellosi inserisce anche un elemento di fiaba all’interno della vicenda. Il suo obiettivo è avvicinarsi alla realtà, provare a scomporla, e poi trovarvi un pizzico di magia che possa consolare. Quei “calcinculo” sono il perno dell’intero progetto. Vengono inquadrati spesso, come elementi inerti, in una parabola di crescita dura, che rischia di schiantarsi prima di vedere il domani. La regista gioca anche con le cromature, contrappone il giorno alla notte. Spesso preferisce colori spenti, che si perdono nel luogo senza tempo dove è parcheggiata la roulotte di Amanda.
Un film sincero, una solida opera seconda, che è stata presentata nella sezione Panorama all’ultima Berlinale. A colpire è la poliedricità del talento di Andrea Carpenzano: attore eclettico, ottimo nell’interpretare il dannato di borgata, capace di districarsi tra la criminalità di La terra dell’abbastanza dei fratelli D’Innocenzo, lo spirito edificante di Tutto quello che vuoi di Francesco Bruni, la star maledetta di Lovely Boy di Francesco Lettieri, e la questione identitaria di Calcinculo di Chiara Bellosi. Non una promessa, già un attore su cui contare.