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Cacciatore di teste
Presentato in anteprima come film di chiusura della scorsa edizione del Festival di Taormina, Cacciatore di teste è uno dei migliori film mai realizzati da Constatin Costa-Gavras se non, forse, il suo capolavoro. Questo perché la fusione di generi e stili differenti fa di questa pellicola, una produzione unica capace di coniugare black humour a temi politici e sociali inquietanti ed emblematici per la nostra modernità sofferente. Tutto inizia quando un manager dell'industria della carta viene licenziato in tronco dalla sua società. Pian piano la mancanza di entrate e l'impossibilità di trovare un altro impiego, sottrae progressivamente denaro e risorse alla sua famiglia borghese che dovrà così fare i conti con l'indigenza e la vergogna. Una miscela sufficientemente esplosiva da costringere l'uomo – suo malgrado – ad architettare un progetto di morte tanto assurdo quanto efficace. Dopo essersi aperto una casella postale anonima, l'ex dirigente fa finta di parlare a nome di una società del ramo della carta, facendosi inviare una serie di curricula allo scopo di vagliare possibili concorrenti per un ambitissimo posto di lavoro che – nel frattempo - ha adocchiato. Il padre di famiglia inizia così ad uccidere tutti i potenziali rivali a sangue freddo e con tanta, tantissima fortuna. Mentre la sua famiglia sembra franargli davanti agli occhi, l'ex manager mette a segno un colpo dopo l'altro eludendo – apparentemente – la polizia, ma senza riuscire a sfuggire ad un destino tanto cinico quanto beffardo. Diretto con grande senso del ritmo e dell'umorismo da Costa Gavras, il film è interpretato dall'attore francese José Garcia che offre un ritratto tanto ironico quanto cinico dell'"assassino per caso". Divertente, ma anche amaro, Cacciatore di teste è una fiaba surreale sulla crisi dell'occupazione nell'Europa di oggi, che punta il dito contro gli interessi delle multinazionali e l'incapacità dei governi di gestire adeguatamente tali problematiche. Un dramma borghese dai toni agrodolci in cui le azioni del protagonista sono dettate da sentimenti quali umiliazione e disperazione dovuta alla mancanza di denaro. La privazione del lavoro equivale al depauperamento della dignità personale, così come spiegano i tanti incontri che il protagonista fa con le sue vittime, depresse e abbandonate ad un destino privo di ogni valore umano. Un viaggio all'inferno senza sensi di colpa con un finale che sembra precipitare l'intera società occidentale in una giungla d'asfalto dominata da astuzia e sopraffazione. Un apologo intenso e suggestivo per comprendere i rischi del nostro presente dominato dal materialismo.