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Bye Bye Germany
La truffa, la mascherata, la menzogna come vendetta ma soprattutto come metodo di sopravvivenza che risale a secoli addietro: Sam Garbarski racconta a suo modo le radici del popolo ebraico con Bye Bye Germany, presentato al festival di Berlino nella sezione Special Gala, e tra i film tedeschi più attesi in patria di questo inizio di 2017.
Facile capire il perché: Garbarski racconta di cosa successe agli ebrei di Francoforte subito dopo la fine della 2° guerra mondiale attraverso le gesta di David, un mercante, e dei suoi amici che in attesa della licenza statunitense per lasciare la Germania progettano una serie di truffe ai danni dei tedeschi che hanno partecipato alla guerra coi nazisti. Ma la licenza di David tarda ad arrivare: il perché sta in un segreto che si porta dietro dai campi di concentramento. L’interessante sceneggiatura di Michel Bergmann punta alla commedia drammatico, alla rilettura più leggera e mainstream del dramma del popolo ebraico, mescolando leggerezza e pathos.
Sulla carta a Bye Bye Germany non manca nulla: una storia avvincente che a un certo punto si sdoppia tra passato e presente, una struttura efficace in cui i flashback vengono gestiti con sapienza, un personaggio a tutto tondo come quello principale attraverso cui far emergere le riflessioni sulla menzogna e il travestimento, sul senso dello spettacolo e del racconto, sul collaborazionismo come ferita aperta di un popolo ma anche sulla sua elaborazione. Ma Garbarski non riesce a gestire i toni e i registri del film, gli manca innanzitutto l’umorismo e la leggerezza per giocare con la commedia su un terreno così scivoloso. E così facendo, il contrasto col lato drammatico del film si perde e il pathos sembra fuori luogo.
Un canto decisamente stonato a cui una confezione da prima serata televisiva (ricostruzione storica elementare, musiche di piatta banalità) chiude ogni possibilità di riuscita e che nemmeno la buona volontà degli attori, in primis Moritz Bleibtreu, che soffre delle incertezze di Garbarski e spesso sembra fuori parte. Un tentativo coraggioso, certo, ma anche un passo molto più lungo della gamba.