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The Best Yet to Come
L'esordio al lungometraggio di Jing Wang è battezzato a livello produttivo da Jia Zhangke, tra i più grandi cineasti cinesi contemporanei, per il quale il neoregista ha già collaborato più volte in passato come assistente.
Porta sullo schermo la vera storia di Han Dong - ora affermato giornalista - che nel 2003 si barcamenava a Pechino sognando il lavoro della vita.
Internet era ancora agli albori, i giornali dominavano il mondo dell'informazione, Han Dong grazie ad un forum di appassionati, viene notato dal caporedattore di un quotidiano. E viene scelto come stagista. Pieno di energia ed entusiasmo, finirà per cambiare il destino di cento milioni di persone con un unico articolo.
Bravo a mettere in scena il fermento di un'epoca dove ancora la rete e gli smartphone non governavano le nostre vite, Jing Wang costruisce il proprio film partendo da un assunto condivisibile e che dovrebbe animare, ancora oggi, lo spirito di qualsiasi giornalista: "Dimmi una cosa che succede nel mondo che non dovrebbe riguardarmi".
Sì, perché anche a costo di compromettere sul nascere l'inizio della sua carriera, Han Dong non si ferma sulla superficie di uno scoop che ha contribuito in prima persona a scovare, ma continuando ad indagare, ad ascoltare, a comprendere le ragioni di quel "fatto", porterà alla luce l'ingiustizia legislativa che in Cina condiziona, discrimina l'esistenza di 100 milioni di persone affette da Epatite B.
Qualche ingenuità di tanto in tanto a livello di tenuta, qualche ralenti ad enfatizzare un po' troppo alcune situazioni, una manciata di lungaggini qua e là, ma nel complesso oltre alla forte idea "morale" il film è sostenuto anche da una discreta impostazione estetica.
Un buon esordio, insomma, ospitato negli Orizzonti di Venezia 77.