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Dopo il periodo delle “offese” (con i vari Outrage) e la parentesi Kubi (2023), Takeshi Kitano torna dietro (e davanti) la macchina da presa - al solito da attore accreditato come Beat Takeshi - e lo fa con Broken Rage, divertissment di soli 62 minuti (Fuori Concorso a Venezia 81) in cui, come da titolo, "spezza" letteralmente la rabbia con una trovata indubbiamente sorprendente.
Di fatto, la prima metà del film è il racconto in stile gangster movie che segue le vicende di un sicario che si ritrova incastrato tra la polizia e la yakuza. La seconda metà segue la stessa, identica storia, traducendola però con la cifra della commedia demenziale, una vera e propria parodia della prima parte.
Accolto in proiezione press/industry da ovazioni e risate, Broken Rage - che in alcuni momenti viene interrotto da alcune chat whatsapp in cui ipotetici spettatori commentano divertiti e sorpresi quello che succede sullo schermo - è uno di quei film a cui si vuole bene a prescindere.
Intanto perché è quasi impossibile non voler bene ad un film di Kitano (anche quelli meno riusciti, e non sono pochi negli ultimi 20 anni...), ma soprattutto perché traspare con forza la volontà del regista e attore nipponico 77enne di non volersi arrendere di fronte a nulla.
Richiama a sé Tadanobu Asano (Zatoichi e Kubi) e Nao Ômori (Dolls, Achille e la tartaruga, Outrage Coda e Kubi) e dimostra che qualsiasi storia si può declinare in modi diametralmente opposti: nato come comico da cabaret ma arrivato alla ribalta internazionale, come cineasta, grazie a violentissimi (ma altrettanto poetici) film incentrati sulle dinamiche della yakuza giapponese, Kitano – che ormai sembra poter parlare solamente ai suoi fan più affezionati – (si) rende omaggio, con quel solito, inconfondibile ghigno, ma senza alcuna spocchia né autocommiserazione.
E si diverte, come non mai forse in un suo film, ad infarcire di trovate slapstick e gag assurde (il confronto tra sospettati in polizia, con lui messo insieme a soggetti improbabili, o il gioco della sedia durante quello che doveva essere un regolamento di conti) un racconto che certo non avrà mai il respiro delle sue cose migliori, ma sa regalare più di qualche sorpresa. Specie nel finale della seconda parte, dove non proprio tutto coincide con il finale della prima.