C’era una volta Bridget Jones. Ultratrentenne. Disordinata, goffa e con numerosi vizi. Eternamente sovrappeso, disperatamente single, scarsamente ambiziosa: l’antitesi della donna in carriera. Nata dalla penna di Helen Fielding nel 1995, sulle colonne del quotidiano dell’Independent e diventata in breve famosa. Tanto che nel ’96 la Fielding ha deciso di fare del racconto settimanale un romanzo e Il diario di Bridget Jones si è trasformato in fenomeno mondiale (quasi 5 milioni di copie vendute, tradotto in 25 lingue) ed è approdato al cinema. E la texana Renée Zellweger, vista con sospetto in un primo momento dalla britannica madrepatria, ha conquistato il box office e il cuore dei reticenti inglesi. Naturalmente i film e i libri, si sono moltiplicati e 24 anni e tre sequel dopo, ritroviamo la nostra eroina invecchiata, vedova e con due figli piccoli e un titolo che tradisce le aspettative (Bridget Jones – Un amore di ragazzo, in sala dal 27 febbraio con Universal). Mark (Colin Firth), il marito, è tragicamente scomparso durante una missione umanitaria in Sudan.

Bridget, di nuovo single, deve destreggiarsi tra il lavoro (era una produttrice televisiva piuttosto brava) e la crescita dei suoi figli, Billy, nove anni, e Mabel, quattro. Il nuovo capitolo incomincia come una commedia brillante ma il mood dura un attimo, un mese, forse un’estate. Bridget si costringe ad abbracciare il caos, abbondonare il pigiama, per riscoprirsi attraente, seducente, appassionata. Poi la cruda realtà la aggredisce e torna a essere la donna che ha perso il marito con due bambini da proteggere. La vivacità si spegne in una riflessione esistenziale, in una elaborazione del lutto. Per fortuna c’è l’ex amore Daniel Cleaver, Hugh Grant, playboy per missione e al tempo stesso amico di fiducia. L’aiuto arriva anche dai meno sospettabili, l’insegnante di scienze mister Walliker (Chitwetwl Ejifor), che si prende cura di Billy, incapace di affrontare l’assenza del padre.

Mentre la cantonata si chiama Roxter (Leo Woodwall), aspirante biochimico, belloccio e divertente, con una pecca, l’età. La speranza che l’idillio duri, acceca Bridget. “Ci vorrebbe una macchina del tempo” scappa dalle labbra di Roxter. prima di sparire e improvvisamente riapparire (oggi si dice ghosting), senza una vera spiegazione, perché il fatto che una donna cinquantenne posso avere una relazione con un uomo con la metà dei suoi anni è ancora un tabù per la società (non solo quella inglese). Bridget si dispera, non per molto, sa che la priorità è ritrovare uno scopo, un equilibrio. È anche il consiglio della sua ginecologa, interpretata dalla magnifica Emma Thompson, uno dei punti forti del film (quando entra in gioco riaccende la storia), che scorre altrimenti placidamente, nonostante i drammi di cui sopra.

Così alla fine Bridget fa una scelta, che riassumiamo con una celebre frase: niente è sbagliato se ti rende felice. Menzione speciale a Hugh Grant, in forma smagliante, con i suoi dialoghi al vetriolo.