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Lopez e Banderas
in una scena
La notizia buona è che la storia è di quelle fortissime: il taciuto massacro di oltre 400 donne, violentate e uccise dal 1993 fra il Chihuahua e Ciudad Juarez, al confine tra Messico e Stati Uniti. La polizia insabbia, le autorità minimizzano e c'è pure l'ombra delle multinazionali, che cavalcano il degrado economico e sociale con le "maquilladoras", fabbriche dello sfruttamento dove immigrate da tutto il paese producono in batteria per l'Occidente ricco. La notizia brutta è che a dirigere è Gregory Nava: semisconosciuto regista televisivo, che trasforma una potentissima denuncia in un action qualsiasi. Non si aiuta con la sceneggiatura (da lui stesso scritta), ma non lo aiutano neanche gli attori. Che Jennifer Lopez sia una reporter americana inviata a far luce sul caso, lo deduciamo soltanto dalla macchina fotografica che porta al collo. Per il resto corre, si dimena e, per la sua samaritana dal cuore tenero e i modi bruschi, sembra più che altro ispirarsi alla Lara Croft di Tomb Raider. Antonio Banderas prova a metterci una pezza: avendo sentito puzza di bruciato, all'inizio aveva gentilmente declinato. Poi un'accorata richiesta dell'associazione madri delle vittime l'ha convinto a partecipare. Impegno e ruolo sono però a scartamento ridotto: fa il possibile, ma il canovaccio è quello e il suo direttore di giornale è relegato a strumentale sponda della reporter militante che il film dovrebbe incoronare. Dovrebbe.