Dove, disincantata giornalista investigativa del Guardian, è costretta dal direttore del giornale a tornare nella natia Irlanda in seguito al suicidio di una sua fonte, nell’attesa che le acque si calmino. Nonostante l’evidente riluttanza, si unisce a un team di podcasters true crime, composto dall’influencer americano Gilbert Power, perennemente in cerca di storie da raccontare, e dall’assistant researcher Emmy, ragazza di buona famiglia giornalisticamente alle prime armi. Il trio improvvisato si reca nella cittadina di Bodkin per raccontare un vero e proprio cold case: la sparizione di alcune persone avvenuta una ventina di anni or sono, nel corso di una festa tradizionale. Sin dal loro arrivo, i tre si rendono conto che la tragedia è tutt’altro che dimenticata, e che gli abitanti sono più reticenti a parlarne di quanto la loro cortesia non mostri. Da una storia da raccontare a un’investigazione in piena regola, il passo è breve; e a Dove, annoiata dalla proposta di un’Irlanda da cartolina, investigare non sembra vero. È l’inizio di una fitta rete di misteri, che qualcuno vuole rimangano tali.

Coprodotta dalla Higher Ground di Barack e Michelle Obama, ormai dal 2018 fermamente lanciati nel mondo della produzione audiovisiva, l’irlando-statunitense Bodkin è una serie crime classica e ben scritta, con lampi di humour sapientemente bilanciato (su tutti le suore produttrici di funghi allucinogeni, capitanate dalla veterana Fionnula Flanagan de Alla conquista del West) e alcuni colpi di scena ben calibrati. I pregi sono parecchi: se lo sfondo narrativo, un mistero irrisolto all’interno di un (apparentemente) tranquillo borgo di provincia, è ormai un topos consolidato del genere, abbiamo un setting irlandese suggestivo, teatro di mille bevute, inevitabili hangover, personaggi camaleontici, un continuo cambio di registro, dal drammatico all’ironico, e un villain (David Wilmot) raramente così “umano” e mutaforme, al punto da condividere una sincera amicizia con Gilbert. La freschezza degli interpreti fa il resto: difficile non affezionarsi a Will Forte, Robyn Cara e a una Siobhán Cullen da applausi, anche se l’eterogeneo trio spesso tende a riproporre un po’ meccanicamente i propri fatal flaw e conflitti personali.

Conflitti che però sono la marcia in più della serie, che ha qualcosa di non banale da dire su etica e giornalismo: fin dove è necessario spingersi per ottenere la verità? E la verità, una volta ottenuta, è quella che abbiamo visto coi nostri occhi o quella che aggiustiamo su podcast o carta stampata al fine di ottenere la storia perfetta? Gilbert e Dove sembrano rappresentare due differenti punti di vista, rispettivamente l’etica e il pragmatismo, ma entrambi si scopriranno più simili di quanto credono, al di là del medium che utilizzano.

Chi si trova nel mezzo è la giovane e plasmabile Emmy: che nel corso dell’indagine dovrà capire quali angoli smussare di sé stessa, e quanto della spietata (e a tratti detestata) Dove sia il caso di acquisire per fare strada nel mondo della cronaca. Singolare ed esemplificativa la tecnica narrativa usata nel quinto episodio, dove il “nastro” torna indietro mostrando ciascun elemento del team, in solitaria, scoprire qualcosa di utile alla risoluzione del caso.

Un tema brillante, difficilmente serializzabile (malgrado un tentativo di finale aperto), ma felicemente trasposto su schermo, al netto di poche, trascurabili lungaggini. Per intenderci: Bodkin, leggero nonostante i toni thriller,sarebbe un prodotto perfetto per il nostro servizio pubblico; dunque, esattamente quello che non vedremo mai su quei lidi.