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Bodies, la serie disponibile su Netflix
QUATTRO MORTI AMMAZZATI, quattro epoche diverse, quattro investigatori alla ricerca dell’assassino. Però il morto è sempre lo stesso e viene ritrovato nello stesso punto di Londra. Anche la modalità è la medesima: l'uomo è prono, completamente nudo, un occhio trafitto da una pallottola. Nell’arco degli anni, che vanno dal 1890 al 2053, il mondo è cambiato, ma i punti di contatto fra le epoche rimangono molti; e, last but not least, gli investigatori scoprono di avere lo stesso tipo di avversario: un altro essere umano, non molto diverso da loro stessi. È questa l’intrigante premessa di Bodies, una serie Netflix che sembra uscita da una riunione di sceneggiatori hollywoodiani degli anni Novanta, quando i thriller dovevano essere high-concept a tutti i costi. Soltanto che qui tutti gli autori sono britannici, cioè il compianto Si Spencer, che ha scritto l'omonima graphic novel da cui è tratta la serie (pubblicata anche in Italia nel 2015), e Paul Tomalin, lo sceneggiatore (già responsabile di The Frankenstein Chronicles). E la serie, pur mancando programmaticamente dell’umorismo britannico che condisce i racconti più turpi o weird in prodotti come Sherlock e Doctor Who, somiglia più a un complesso arthouse europeo che a un baraccone fanta-thriller statunitense, oppure fa tornare alla mente certi paradossi estetico-produttivi dell’industria hollywoodiana, come L’esercito delle dodici scimmie di Terry Gilliam o Looper di Rian Johnson.
Si parte dai giorni nostri, l'atmosfera è tesa perché il corpo viene trovato mentre è in atto una manifestazione di estrema destra. Con un colpo d'ala siamo nel 1941, nella Londra sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Poi ancora più indietro, sul finire dell'Ottocento di Jack lo Squartatore, tra carrozze e reietti della società.
Infine il salto più audace, in un futuro prossimo venturo che fatichiamo a cogliere interamente alla prima occhiata. E una certezza: dopo il primo episodio, la brama di lasciarsi andare al più compulsivo dei binge watching è già realtà per chi guarda. Alla curiosità si accompagna quel sottile nervosismo con cui lo spettatore seriale ha imparato a convivere: è il timore della delusione. Episodio dopo episodio l'attesa cresce insieme alla quantità di elementi che Bodies mette sul piatto, un processo di accumulazione che spesso si rivela pericoloso se non letale per molte produzioni televisive. Ma non è questo il caso: la serie tiene botta e lo fa fino alla fine, con un finale onesto e pulito, probabilmente il migliore possibile, se non l'unico.
Un atto violento che si ripete da centosessanta anni, un destino che sembra già scritto e immutabile, una serie di paradossi temporali intricati. È forse un omicidio rituale? Possiamo definirlo un cold case perenne? In Bodies l’elemento thriller, che viene poi travolto dagli aspetti fantascientifici - mostrando un uso disinvolto del genere che cambia più volte, anche solo per qualche sequenza, all’interno del racconto – è molto di più di una formula vincente per agganciare lo spettatore. Notevole anche l'aspetto puramente detection, pieno di sorprese inaspettate, sicuramente bizzarre, su tutte i detective del futuro che indagano sui detective del passato. Ma è l’elemento umano che, in ultima analisi, fa di Bodies un prodotto originale e sorprendente. L'intera costruzione narrativa e gli elementi di genere ruotano intorno a una mancanza emotiva che coinvolge tutti: vittime, assassini e uomini di legge. Hillinghead (Kyle Soller), il detective di fine Ottocento che per primo trova il cadavere di Longharvest Lane, è un vittoriano freddo e controllato; Charles Whitman (Jacob Fortune-Lloyd, il D.L. Townes de La regina degli scacchi), è uno spregiudicato e ambiguo poliziotto degli anni Quaranta; la detective del 2023 Shahara Hasan (Amaka Okafor), è una madre single con un presente complicato; Iris Maplewood (Shira Haas, l’indimenticabile protagonista di Unorthodox) è un’investigatrice del 2053, la cui disabilità fisica non riesce a tarpare le grandi ambizioni.
Ben presto diventa chiaro che al centro del mistero c’è l’enigmatico personaggio interpretato da Stephen Graham, visto nei panni di Hayden Stagg nella sesta serie di Peaky Blinders. C'è poi una frase misteriosa: "Know you are loved", sappi che sei amato. Un invito, una minaccia, qualcosa da desiderare o da temere? Non è dato sapere, se non al momento giusto. La frase compare qui e là, a chiusura di enigmatiche conversazioni telefoniche o detta di persona, sussurrata o gridata, talvolta scritta sotto forma di acronimo, KYAL. Oltre a spingere al binge watching, Bodies è una di quelle serie che chiede di essere rivista più di una volta, alla ricerca dei dettagli, magari anche sfrontati, sfuggiti a una prima visione.
A tenere insieme il tutto, due sono gli elementi fondamentali: un cast di attori in stato di grazia, scelti con cura anche per i ruoli più piccoli e diretti magistralmente, senza che la magia della sospensione dell'incredulità venga mai meno, neanche nei momenti potenzialmente più assurdi. Difficilmente dimenticabile è, per esempio, la bambina con le trecce, come pure raramente abbiamo visto una villain così spettacolare come quella interpretata da Greta Scacchi.
L'altro elemento cruciale è l'uso finalmente sensato dello split screen, non solo mero orpello visivo ma vero e proprio elemento drammaturgico, talvolta quasi un epico filo di Arianna che impedisce alla confusione di prendere il sopravvento. Ed è inoltre, non dimentichiamolo, un chiaro riferimento alle vignette della graphic novel da cui la serie trae origine.
Ogni epoca è racchiusa in atmosfere ovviamente diverse e ben distinte, tra i moralismi soffocanti nel passato e le libertà non scontate nel presente e nel futuro. Anche il genere si adatta ai tempi e li definisce in senso cinematografico: c'è il dramma in costume e crinoline, il noir tutto sigari e sparatorie, il poliziesco netto e velocissimo, la distopia fantascientifica. Londra, città in cui in ogni vicolo il passato e il presente coesistono beatamente da sempre, si presta meravigliosamente al gioco. Tutto convive pacificamente sotto l'ombrello di Bodies: esplosioni inimmaginabili, autopsie a mani nude, camper che deflagrano, corpi sotto vetro moltiplicati all'infinito, bombardamenti. E poi ancora sedute spiritiche, viaggi nel tempo, logge massoniche, società dittatoriali, follia, laboratori segreti, spie. C'è più di un universo in questa storia, e tutto parte dalla banale scoperta del cadavere di uno sconosciuto. La tensione rimane sempre altissima per tutti gli episodi, senza una sbavatura per ben otto ore totali. Parte del merito va anche alla scelta oculata degli argomenti messi in campo: sessismo, omofobia e razzismo, per esempio, giocano un ruolo importante, perché permettono di riconoscersi nei protagonisti.
Il futuro non è scritto, ma è registrato: si nasconde nei solchi di un antico vinile, la cui forma è simbolo della circolarità inevitabile degli eventi. I personaggi, come la puntina di un giradischi, sono obbligati a seguire i solchi, potendo al massimo ripartire da capo. Solo se qualcuno comprenderà la natura di questo ciclo coatto, sarà possibile concepire un'uscita dal loop. Come il fruscio che cresce dopo ripetuti ascolti e disturba la purezza del suono, svelandone la natura meccanica, Bodies mette in scena il fruscio del tempo che passa, che incide sulle vite degli esseri umani sparsi lungo centosessanta anni di storia, sulla coscienza collettiva della società, sul senso delle nostre vite. Legare il racconto a uno specifico oggetto che attraversa tutta la storia, come se fosse un testimone muto o un personaggio privo di liberto arbitrio ma capace di influire sugli eventi, è un vecchio trucco dell'armamentario narrativo classico che qui viene abilmente amplificato e modulato per essere infine trasformato in un tassello originale carico di significato e forza emotiva. Metaforicamente a braccetto con l'inestricabile concetto di loop, c'è posto naturalmente anche per la cara vecchia questione del libero arbitrio. Argomento molto amato da ogni genere e applicabile facilmente a ogni tipo di storia, il libero arbitrio viene qui chiaramente dichiarato nella sua non esistenza. Non c'è scampo, non c'è libertà, non c'è possibilità di far andare le cose in maniera diversa, nel futuro come nel passato, rispetto al prestabilito circolo vizioso. Ogni tentativo di volontà, personale e collettiva, era già prevista, è già accaduto e sicuramente accadrà. Come uscirne? La risposta è una sola, ed è un monito per lo spettatore: con pazienza. Gli indizi che portano alla risoluzione procedono senza fretta, snocciolati al ritmo giusto, quello che occorre per una visione appagante fino alla fine, come accade quando si ricompone un enorme puzzle. Ai singoli pezzi non è dato sapere quando e come potranno ricongiungersi con il tassello mancante, quando e come i corpi di vivi e morti troveranno l'incastro giusto che darà senso a queste esistenze sospese nel tempo, raminghe e dolenti, a cui è impossibile non affezionarsi.