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Black Swan
Dopo anni di gavetta, Nina (Natalie Portman), una giovane ballerina di una compagnia di New York, ottiene la parte principale nella trasposizione del celebre Lago dei cigni di Čajkovskij, rimpiazzando la ormai "usurata" Beth Maclntyre (Winona Ryder). Nel ruolo della regina, Nina dovrà però sdoppiarsi ed essere contemporaneamente l'innocente Cigno Bianco e e il malefico e conturbante Cigno Nero. Quest'ultimo diventerà la sua ossessione, perché per una ragazza ingenua e casta come lei, castrata da una madre iperprotettiva (Barbara Hershey), tramutarsi in una seduttrice diabolica non è cosa da poco. Di più: sulla sua inadeguatezza pigia il tasto il cinico direttore artistico della compagnia, Thomas Leroy (Cassel), spingendola a tirare fuori il lato oscuro di se stessa, mentre l'arrivo di una nuova ballerina, la spregiudicata Lily (Mila Kunis), aumenterà le sue incertezze portandola lentamente alla pazzia...
Chi pensava che l'apertura data ad Aronofsky fosse frutto di uno scambio di cortesie con un regista affezionato come pochi alla Mostra - terza partecipazione in Concorso, Leone d'oro due anni fa con The Wrestler - si sbagliava. Il suo Black Swan è un buon film e il modo giusto di iniziare un festival. Una storia intrigante, che non dovrebbe dispiacere al grande pubblico (non a caso sarà la Fox a distribuire la pellicola in Italia), un cast di sicuro appeal (Natalie Portman, Vincent Cassel, Barbara Hershey e la rising star Mila Kunis), un autore di talento che ha saputo correggere negli anni pulsioni ombelicali e artifici stilistici. Prova ne sia che da un soggetto poco originale - libera variazione sul mito di Pigmalione, scritto da Mark Heyman, Andres Heinz e John McLaughlin - Aronofsky ha saputo trarre un'opera che difficilmente annoierà, e dalla commistione di stilemi e motivi (che combina con disinvoltura melò, thriller psicologico, horror, trash e musical) un film che rischia sempre di debordare senza sfuggirgli mai di mano. Se un difetto si può imputare semmai all'ultima prova del regista americano è proprio un eccesso di zelo, l'impressione che ci sia sempre qualcosa di troppo calcolato, freddo e un tantino prevedibile.
D'altra parte il tema - il tema del doppio, l'ossessione artistica, le crudeltà da palcoscenico, la metamorfosi - non è nuovo, ma Aronofsky ha il merito di farlo suo, piegandolo alla propria poetica personale e squilibrata. E se da un lato il regista porta avanti la riflessione sul cinema già avviata con The Wrestler (cinema come morte al lavoro sul corpo dell'attore), dall'altra si conferma abile nella direzione degli interpreti - tutti superbi, ma la palma del migliore va alla Portman, prima seria candidata alla Coppa Volpi - persino perfido nell'assegnazione dei ruoli, come quando decide di assegnare alla Ryder la parte della diva sul viale del tramonto, inesorabilmente messa da parte. Poi è chiaro, la sua sensibilità stravagante e un tantino kitsch può anche non piacere a tutti, ma di fronte a un film così palpitante, vorticoso, eccessivo, è difficile restare indifferenti.
Contrariamente alla sua ballerina, Aronofsky non è "perfetto", nemmeno vuole esserlo. Il suo è semmai un cinema senza centro, instabile, infetto, stravagante e furioso. Balla paurosamente. Sta a noi decidere se ballare con lui.