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Black Flies
Parigino trapiantato a New York, classe 1968, in carnet Johnny Mad Dog e Punk, il non celeberrimo Jean-Stéphane Sauvaire porta in Concorso a Cannes 76 Black Flies, adattamento del libro 911 di Shannon Burke, interpretato da Tye Sheridan e Sean Penn nel ruolo di due paramedici, il giovane e l’esperto, in servizio su un’autoambulanza nella Grande Mela.
Ollie Cross (Sheridan) sogna ancora, dall’avanzamento professionale all’amore, Rutkovsky (Penn) ha più ex mogli che futuro, ma non condivideranno solo l’abitacolo: la violenza di New York, quella a cui provano a rimediare, li guarda dentro, come il proverbiale abisso, sicché scegliere sulla vita e morte altrui può divenire uno specchio riflesso.
Spacciatori crivellati, soggetti fragili, donne percosse dai compagni, anziani agli sgoccioli, non solo di flebo, il campionario umano sconfessa certezze e precetti, non le idee fisse, non l’hybris: che fare di un neonato probabilmente sieropositivo e con una madre tossicodipendente?
Sauvaire getta la camera oltre l’ostacolo, tallona Ollie e il problematico Rut, trova sprazzi di ironia nel basso continuo crepuscolare, forse un barlume di speranza, ma il percorso è sonoramente, e anche visivamente, accidentato, con rumori oltre la soglia di guardia, effettacci incongrui e, al più, estroversioni stilistiche su cui già l’Abel Ferrara newyorkese diede per tutti.
Certo, Sheridan il giovane e Penn l’incartapecorito sanno recitare, le scene di sesso tra il primo e Raquel Nave sono bell(in)e, e il ritmo, se non l’interesse, si tiene per tutti le due ore di Black Flies.
Ma a pesare drasticamente sull’operazione è un film di quasi un quarto di secolo fa: Al di là della vita (1999) di Martin Scorsese, con Nicolas Cage dove ora Penn e Sheridan. Ma Sauvaire, Burke e compagnia, ehm, ambulante non l’hanno visto?