“Together we stand, divided we fall”.

Si affida ad Hey You dei Pink Floyd per i titoli di coda del suo Black Dog (Gouzhen), Guan Hu, regista che dopo il blockbuster bellico 800 eroi (oltre 460 milioni di dollari incassati nel mondo) si produce in un’operazione di tutt’altra fattezza e ci riporta ai giorni antecedenti le olimpiadi di Pechino del 2008.

In un panorama dai rimandi distopici e post-apocalittici, ai margini del deserto del Gobi, nella Cina nord-occidentale, un pullmino sgangherato si ribalta per evitare la folle corsa di un branco di cani randagi.

Tra i passeggeri, fortunatamente tutti incolumi, c’è anche Lang (Eddie Peng), rilasciato dal carcere e di ritorno dopo anni nella sua città natale. Tenebroso, e di poche parole, l’uomo inizia a lavorare con la pattuglia di accalappiacani gestita dal malavitoso locale (gli presta il volto Jia Zhangke, cineasta che con un film come questo ha non pochi punti di contatto). Ma è una mansione che non può fare per lui e quando la dog patrol riuscirà finalmente a catturare il famigerato “cane nero” che dà il titolo all’opera (affetto da rabbia e per il quale è prevista anche una ricompensa), Lang anziché portarlo al canile decide di adottarlo.

Black Dog
Black Dog

Spopolamento e randagismo: sullo sfondo di una realtà al confine tra il rurale e l’urbano, con il ritmo delle giornate contrappuntato dalla voce di altoparlanti che dettano la linea, l’incontro tra Lang e questo cane assume i connotati di una “resistenza” empatica di fronte alla demolizione di un tessuto che in nome della facciata (gli imminenti giochi olimpici) e del “progresso” finisce per perdere di vista le più elementari norme del vivere comune.

Il passato di Lang – un tempo motociclista acrobatico del circo e per qualcuno del posto ancora personaggio da rispettare – continua a fare capolino, vedi le numerose sortite del macellaio di zona che pretende più volte il pentimento dell’uomo per l’omicidio del nipote (avvenuto in circostanze non proprio chiarissime), mentre il presente e soprattutto il futuro rimangono un’incognita difficilmente decifrabile.

E in questa continua sospensione, ambientale e grammaticale, dentro la quale si muove il racconto di Guan Hu – tra molti silenzi e fantastici campi lunghi – prende vita il bellissimo rapporto tra i due protagonisti del film, Lang e il cane appunto.

Black Dog
Black Dog

L’iniziale diffidenza reciproca (con tanto di morso avvisatore) si tramuta ben presto in un rapporto di amicizia e vicendevole assistenza: il “prendersi cura” di queste due anime solitarie, e randagie, diviene così una specie di ultimo baluardo che tenta di ergersi nel mezzo di uno scenario ormai abitato solamente da deserto e macerie, un luogo che sembra attendere la sua completa distruzione, tra vecchi edifici pericolanti che attendono di essere demoliti e i resti di uno zoo abbandonato, nel quale tra l’altro continua a “muoversi” il padre di Lang, uomo anche lui “distrutto” dall’alcool il cui unico scopo sembra essere quello di tenere in vita una vecchia tigre ancora costretta dietro le sbarre di una gabbia.

Vincitore del premio per il miglior film nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes 2024, Black Dog – nelle nostre sale con Movies Inspired dal 27 febbraio – riesce dunque a far dialogare stilemi del cinema noir (il retaggio criminale di un antieroe costretto ancora a fare i conti con un presente che è lì a ricordargli le sue malefatte) con le traiettorie estetiche e “geografiche” del western, dove i cani errabondi battono lande desolate e quel che rimane di un’urbanizzazione fatiscente, habitat che non può non rispecchiare la natura del protagonista stesso, uomo svuotato di senso e inaridito, apparentemente senza scopi né prospettive.

E il continuo errare di Lang – inteso nella sua duplice accezione – sembra allora trovare una nuova “collocazione” in questo inatteso legame, capace in qualche modo di ridisegnare i sentieri di due destini che sembravano segnati. Perché girovagare da soli è un conto, farlo “insieme” è un’altra cosa, e quanta poesia si nasconde in quell’aggiunta sidecar che l’uomo costruirà apposta per il suo nuovo amico…

E quanta emozione in quel prefinale contrappuntato dal riff di Mother (sì, sempre i Pink Floyd, che campeggiano anche sulla moto del protagonista), con quella carovana di bestie metaforicamente liberata verso un altrove indefinito, scena fiabesca che anticipa l’ultimo atto di un film che non ha paura di saltare “sul” vuoto. Proprio come farà Lang con la sua moto, custode di una nuova vita da accompagnare.