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Big City
Una città di frontiera del 1880 riempita da bambini vestiti da adulti. Al cinema non è una novità, tanti gli esempi di infanzia (auto)negata, per cause di forza maggiore. Dal virus extraterrestre carpenteriano de Il villaggio dei dannati o ai sei nani più bambino de I banditi del tempo di Terry Gilliam i bravi registi hanno sempre indagato l'animo infantile al di là di teneri e rassicuranti stereotipi. Il talentuoso Djamel Bensalah in Big City torna al Far West per raccontare l'Occidente, l'Europa di oggi. L'intuizione è brillante: degli indiani attaccano una carovana di bianchi, ne nasce una battaglia campale che coinvolge tutti gli adulti (donne comprese). Rimangono solo i bimbi, allo scemo e all'ubriacone. A questi due spetta l'ordine (il primo diventa sceriffo, il secondo giudice, geniale satira sociale), agli altri i mestieri dei genitori. Dopo una battaglia di schiuma, bolle di sapone e bagordi di ogni tipo, la meschinità della società si insinua anche in loro, fino allo scontro con i bambini indiani (in verità arabi e neri, metafora chiarissima). Ci si diverte e si riflette, nonostante qualche ingenua furbizia, con baby attori da antologia (su tutti James Wayne e la piccola adorabile prostituta, Vincent Valladon e Paolina Biguine).