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Biancaneve © 2024 Disney Enterprises, Inc. All Rights Reserved.
E chi se l’aspettava che tra le varie licenze e i robusti cambiamenti operati da Disney nel dare nuova vita a Biancanev e, alcuni dei quali hanno dato vita alle sciocche polemiche digitali, la più flagrante e inattesa sia quella di aver dato alla fiaba un tono espressamente politico? Mettendo in scena attori e presenze digitali per rinnovare il film animato del 1937 infatti la casa di produzione, la sceneggiatrice Erin Cressida Jones e il regista Marc Webb hanno dato alla vicenda dei Grimm delle connotazioni che portano i personaggi (e stando ai rumours, anche le loro interpreti) a scontrarsi sulle visioni di governo.
Andando per ordine: il film racconta la storia che più o meno tutti sappiamo, con la principessa (Rachel Zegler), figlia di un regno magnifico e gentile, diseredata dalla nuova regina quando quest’ultima prende il potere, approfittando della morte della madre di Biancaneve e facendo uccidere il padre. In fuga dalla furia di Grimilde (Gal Gadot), che vuole ucciderla per essere “la più bella del reame”, la ragazza trova rifugio presso i sette nani e conosce l’amore di Jonathan, sorta di Robin Hood abituato alle spese proletarie, a capo di una banda di ribelli.


Wilson, vera autrice del film e responsabili delle invenzioni di scrittura, dà a Biancaneve una prevedibile e legittima veste nuova, di ragazza forte, capace di governare con gentilezza e alla ricerca di amore tanto quanto è consapevole della sua natura di leader, ma al tempo stesso arricchisce il tessuto narrativo mettendo in gioco lo scontro tra la possibilità di un socialismo comunitario (seppure a regime monarchico, d’altronde sempre in una fiaba siamo) e invece un conservatorismo reazionario guerrafondaio e iper-liberista. Qualunque riferimento agli USA di oggi è tutt’altro che casuale, vista anche l’adesione di Zegler alle cause progressiste, non ultimo il sostegno al popolo palestinese che l’ha vista farsi nemica Gadot - israeliana, ex-soldata, apertamente favorevole al governo Nethanyau.


A stemperare i toni, edulcorandoli per il pubblico infantile di riferimento, ci pensa l’idea di fare di Biancaneve, un vero e proprio musical, aumentando il numero delle canzoni da 3 a 13, ma soprattutto lavorando sulla messinscena di quelle canzoni, su scenografie e coreografie, su idee di regia e possibilità cromatiche, tra una corte regale che pare uscita da un musical MGM degli anni ’50 e un coro finale che richiama Pellizza da Volpedo.
Al di là dei mugugni dei puristi e dei nostalgici per cui il passato è sempre intoccabile, le idee di reinvenzione sono interessanti e danno un lustro diverso al film, guardando magari al successo di Wicked: è la loro riuscita che appare discutibile, la resa cinematografica è il vero limite del film, come se Webb non avesse occhi e mani abbastanza agili e sofisticate per dare al progetto il vigore e la magia richieste, o meglio, di farlo solo a tratti, soffrendo l’eccessiva densità del copione e non trovandosi a suo agio con una produzione gigante che finisce per legarlo e ingabbiarlo. Basterebbe pensare all’effetto inquietante che fanno i sette nani, realizzati in motion Capture, o alle mediocrità della canzoni, per capire che il progetto vincente di base si è incartato su sé stesso, al di là del prevedibile successo commerciale.