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Antonella Clerici per Biancaneve e gli 007 nani
C'era una volta un film di animazione che cercava di replicare l'irriverenza di Shrek con i mezzi tecnici dei cartoni con le Barbie. E il risultato, naturalmente, è tutt'altro che da favola. Oltre a scontare una grafica alquanto povera, Biancaneve e gli 007 nani si appiattisce su un target molto, molto, infantile, rinunciando in partenza a quella marcia in più che ha fatto il successo di tanti lungometraggi animati, anche se non di prim'ordine come quello dedicato al mitico Orco verde.
L'idea di mischiare in unico regno incantato tutti i personaggi dei racconti più popolari è vecchia e stantia, così come l'imperativo di modernizzarne in qualche modo i protagonisti, in particolare quelli femminili. Ma se finora il nuovo modello proposto alle bambine sono state principesse forti, coraggiose ed emancipate, che non aspettano più di farsi salvare dal primo bellimbusto sul classico cavallo bianco, la Biancaneve di questo film assume l'atteggiamento di una Paris Hilton griffata e viziata, con qualche problema ad accettare le responsabilità comportate dal suo ruolo di futura regina. Morale della favola? Non basta essere ultrafashion e trendy: ogni tanto bisogna fare anche un po' di beneficienza e aprire qualche orfanotrofio, altrimenti si rimane belle solo fuori (e si rischia che il regale paparino spenda la tua eredità con una seconda moglie disposta a tutto pur di sembrare più giovane e ben messa di te). A parte un po' di hip-hop e i telefonini magici, se si va all'osso Biancaneve e gli 007 nani non innova niente, anzi sembra addirittura reazionario nei contenuti e tremendamente scontato nel suo finto buonismo. Entrambi difetti aggravati ancora di più nella versione italiana dal doppiaggio occasionale di Antonella Clerici e di Jerry Calà, quest'ultimo negli improbabili panni di uno Specchio magico che riabilita le sue battute “epocali” come “Libidine, doppia libidine”. Forse ai realizzatori di questo tipo di prodotti non è molto chiaro che ad essere “out” non è il “c'era una volta”, ma la pretesa di impartire ai più piccoli morali ipocrite, trite e ritrite, piazzate lì non per insegnare davvero qualcosa, ma solo per rassicurare gli adulti e convincerli di aver ben assolto al proprio dovere di educatori.