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“Prima avevo tutto e non ero mai contento. Ora non ho niente e sono sereno”. Biagio, ovvero, Biagio di Pasquale Scimeca, in cartellone al Festival di Roma nella sezione Cinema d'Oggi. Il regista inquadra Biagio Conte (ben interpretato da Marcello Mazzarella) e il suo processo esistenziale che – dice Scimeca – “ne ha fatto un uomo giusto, uno dei pochi uomini giusti che ancora abitano questo paese”.
In breve, Biagio molla la famiglia agiata, molla i comfort e se ne va per boschi, dove si nutre di bacche, finché non incontra il pastore Rosario (Vincenzo Albanese) e il figlio Salvatore (Omar Noto). Romane con loro per un po', badando alle greggi, finché non capisce che nemmeno quello gli basta: viaggia a piedi fino ad Assisi e, attraverso l'exemplum di San Francesco, trova Dio. E ricambia: tornato a Palermo, si occupa dei barboni della stazione. Oggi Fratel Biagio Conte li assiste alla Missione di Speranza e Carità, da lui fondata. Bene, è possibile affidare una conversione al cinema? Sì, ne è piena la storia della settima arte, ma qui? Il film di Scimeca è sincero, onesto, cristico, pauperista, francescano e quel che volete, ma dopo 100 anni e passa di storia del cinema non può esistere oggi così com'è: va bene il naif, ma si esagera, c'è conversione ma non sulla via dell'update drammaturgico-stilistico, e nemmeno della splendida inattualità. Questa figura Christi, Biagio, quanti proseliti può fare riportata così?
La sensazione, per esempio nelle sequenze boschive, è di trovarsi in un diorama: i cani candidi, Biagio che non si sporca nemmeno con la terra, si può? E che dire dei barboni ripuliti?
Il modello di riferimento poetico-formale più evidente è quello rosselliniano, ma sicuri sia tale? E, ancora, come si può raccontare conversione e, dunque, redenzione senza sporcarsi le mani, ovvero sporcare le immagini e, soprattutto, mostrare il sangue, il dolore, il “brutto”? No, qui il giusto, buono e bello è trinità inscalfibile, da far arrossire Aristotele.
Scimeca sull'esempio di Biagio Conte crede, e fa anche bene, a un cinema performativo, dunque, salvifico, a una storia che per il fatto stesso di essere raccontata ti cambia, ti salva, eppure Biagio, crediamo noi, faticherà assai a smuovere le coscienze, in primis per lo stile vetusto che s'è scelto. Beati se ci sbagliassimo, s'intende, ma sul piano ideologico (chiamiamolo così) tocca ricordare il Pensiero di Pascal: “Né un abbassamento che ci rende incapaci del bene, né una santità esente dal male”. Ecco, qui dov'è il male? Dov'è il brutto, lo sporco, il cattivo?