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Ma non l’avevamo già visto? E dove l’avevamo già visto? Un po’ ovunque, nel cinema indie americano, e senza scomodare la lezione cassavetiana basti pensare a (500) giorni insieme o Quel fantastico peggior anno della mia vita. Purtroppo, nonostante la contiguità tematica e poetica, siamo ben lontani: Between Us di Rafael Palacio Illingworth è un cattivo déjà vu, che trita e ritrita topoi e stilemi del dramedy sentimentale non allineato con dabbenaggine e, nonostante i 30enni protagonisti, vecchiume.
Soprattutto, la collocazione quale film d’apertura del 34° Torino Film Festival non ha giovato: perché, domanda che serpeggiava al Lingotto, non optare per Sully di Clint Eastwood? Tant’è, l’opera seconda di Illingworth, presentata ad aprile 2016 al Tribeca, scontenterebbe ancor più se non potesse contare su attori ispirati e indovinati, a partire dalla coppia protagonista formata da Olivia Thirlby e Ben Feldman, ben supportati da Analeigh Tipton, Alison Sudol, Adam Goldberg.
Lui filmaker in erba, lei rampante organizzatrice di eventi convivono a L.A.: tutto bene, finché la prospettiva di comprare un appartamento fighetto non li porterà prima a sposarsi e, poi, a perdersi, almeno un po’. Sul piatto - non ricchissimo nemmeno sotto il profilo stilistico: sms e foto scambiate via whatsapp a tutto schermo non aiutano… - la paura di diventare adulti nelle ricadute relazionali, ovvero i pericoli insiti nella certificazione sociale dell’amore, Between Us non aggiunge nulla all’enciclopedia di questo sottogenere, né ha il coraggio di prendersi sul serio, di provare a innovare.
Si leggerebbe sul suo biglietto da visita “Sono uno dei tanti, uno come tanti”, e il titolo già stra-utilizzato ne è sintomo scoperto: e la famosa industria di prototipi?