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Berlino, Estate '42
Una struggente storia d’amore e rivoluzione funestata da orrori e repressioni della Storia. È quella portata su grande schermo e, battezzata alla Berlinale 2025, dal decano del cinema teutonico Andreas Dresen (Orso d’argento già nel 2002 con Catastrofi d’amore), che continua a scandagliare il passato alla ricerca di eroi del quotidiano.
Stavolta è il turno della giovane Hilde Coppi, semplice assistente odontoiatrica che nel 1942 nella capitale tedesca incontra e sposa il biondo Hans, fulcro della cellula anti-nazista e filosovietica “Orchestra Rossa”: un manipolo di amici che dissentono contro il Führer a colpi di volantinaggio clandestino, spionaggio e missive mandate a Mosca (ma ne arriverà solo una, tra le tante inviate).
Dresen (anche co-produttore del film), tre anni fa ripercorse gli orrori di Guantanamo in Una mamma contro G. W. Bush, da cui recupera l’angolatura d’analisi al femminile e rende Hilde (Liv Lisa Fries, già apprezzata in Freud – L’ultima analisi) baricentro di sguardo per equilibrare il period drama a sfondo politico con la love story inziale e il cupo prison movie conclusivo (la fotografia di Judith Kaufmann marca lo iato dipingendo radiosi campi lunghi lacustri per la linea romantica, claustrofobici interni grigio-verdi per il segmento carcerario).
Dopo L’Orchestra Rossa di Rouffio, il cineasta (anche co-produttore del film) sceglie una chiave già rodata, ma convincente per rimpinguare lo scarno sotto-filone di film sulla Resistenza antinazista in Germania (impressionante se confrontato alla mese di film antifascisti prodotti in Italia): nel 2005 Rothemund celebrò Sophie School con La rosa bianca, la studentessa che fu cuore dell’omonimo gruppo di resistenza al regime nazionalsocialista attivo a Monaco negli stessi anni dell’Orchestra Rossa berlinese; dieci anni dopo Hirschbiegel ripercorse l'attentato sventato a Hitler in una birreria bavarese nel 1939 con il biopic Elser –13 minuti che non cambiarono la storia.
In questo caso, la sceneggiatura di Laila Steiner (la stessa che tre anni fa sempre a Berlino fu premiata per lo script diretto da Dresen), da una parte è confusionaria e infelice nella scelta di frammentare il flusso del biopic in un pendolo di analessi e prolessi, dall’altra sa donarci una protagonista interiormente ricca e densa di screpolature emotive. Liv Lisa Fries è all’altezza del compito. Altera e passionale, impulsiva e idealista, dentista e linotipista, disperata e dignitosa, sensuale e materna. Ribelle e familista. Capace di restare fedele a sé stessa oltre le strazianti perdite (la madre, il marito, il figlio) che le imposero i nazisti.
Dresen sa orchestrare con oculatezza registri e generi, tessendo con sapienza biopic un solido e denso di calore umano che pure sprigiona tutto il suo potere documentario e testamentario, rivelandosi più forte delle debolezze di struttura.
La chiarezza visiva prevale per espressività e discorsività su quella drammaturgica: s’impone sulla sceneggiatura una regia ricca (attenta al micro e macroscopico), ponderata, empatica, appassionatamente femminista, selettiva (fuoricampo scorrono gli orrori della guerra, che incombono sulle rotte dei protagonisti, eppure non vediamo un fucile sparare).
In più, argina la retorica, schiva la tentazione di scolpire figurine leggendarie (“Sono cresciuto nella Germania Est, dove i combattenti della resistenza venivano glorificati e rappresentati in un modo monumentale che inevitabilmente ti faceva sentire piccolo e patetico” ha dichiarato presentando il film il regista), e riempie, invece, il dramma storico di sentimenti elementari che innescano azioni esemplari (l’amore, gli slanci della gioventù, la libertà, l’insofferenza alle costrizioni, il senso di giustizia, la paura della morte, il desiderio sessuale, famigliare e amicale).
Berlino Estate 42’ (titolo italiano che periodizza ed edile il sentimentale originale, affettivo In Liebe, Eure Hilde) o dell’eroismo del quotidiano, della necessità di rimanere fedeli a se stessi, consegnando il proprio esempio al futuro, oltre la barbarie presente.
Dresen celebra la solarità rivoluzionaria (perché umana) di giovani che, mentre vivono, leggono, si amano, ballano, scrivono, fanno sesso, figli, falò e bagni al lago, superano insieme la paura individuale ripudiando la guerra con i mezzi che hanno, non per senso di gloria, ma per un elementare slancio umanitario, per un’utopia pacifista che tutti affratella (o almeno dovrebbe), per pacificare la propria coscienza.
Vicende di uomini e donne, di giovani sconfitti dalle macchinazioni del Potere orwelliano, che pure mantengono intatto tutto il loro potere esemplare e universale.
Oggi, come ottantatré anni fa.