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Grillino, anzi no. Benvenuto presidente! è tutto un equivoco. E' indignato e indulgente, populista e antipopulista, moralista e misericordioso.
Scritto da Fabio Bonifacci e diretto da Riccardo Milani ricicla lo spunto di Dave - Presidente per un giorno e sale sul carro dei registi-picconatori alla Bellocchio, Albanese, Bruno, Andò che di recente, con modalità proprie ed esiti differenti, hanno provato a raccontare tormenti e baruffe della seconda repubblica.
Questo film, dicevamo, è equivoco già nella forma, che è quella di tante commedie passate prossime, la forma - anzi la formula - della favola che è un modo tutto italiano di accostarsi alla realtà prendendone le distanze, di impallinarla così, per gioco, senza assumersene veramente la responsabilità. "In democrazia la forma è tutto", declama un politico navigato (il segretario generale del Presidente Omero Antonutti), ma anche al cinema conta qualcosa, o no?
La favola spinge il pedale sull'iperbole, come se la politica italiana non fosse già paradossale, ridicola e iperbolica di suo. Di fatto si ride poco, nonostante un paio di gag "alla Totò" possano dirsi riuscite e Claudio Bisio porti la consueta, innata simpatia. Bisio è Giuseppe Garibaldi, anzi Beppe così facciamo contenti i grillini. Ha 55 anni, è un ex bibliotecario e, a tempo perso, un mediocre pescatore di trote. La manovra maldestra di tre parlamentari traffichini (Giuseppe Fiorello, Massimo Popolizio e Cesare Bocci) lo trasforma, dall'oggi al domani, nel nuovo inquilino del Quirinale, tra l'incredulità generale e i mal di pancia dei "poteri forti" (Pupi Avati, Lina Wertmuller, Gianni Rondolino e Steve Della Casa). E il Beppe nazionale, sostenuto dagli amici e da uno stuolo di collaboratori fedeli (Kasia Smutniak e Remo Girone), è destinato a dare una bella "scossa" all'ingessato e degradato mondo politico italiano. E non solo a quello.
Il tema dell'insider e del "candido" era stato già sfruttato - e meglio - da Viva la libertà, che poteva contare su un copione maggiormente ispirato e attori più sicuri. Ma il punto non è questo: Benvenuto presidente non si schioda mai dal complesso della farsa. E' questo il punto. Inizia come una lezioncina di educazione civica, prosegue sulla strada del "bacchettonismo" bonario, finisce sparando nel mucchio, accordando un'indulgenza plenaria tipicamente nostrana: tutti colpevoli, nessun colpevole. Eppure non c'è mai un cambio di passo, un movimento inatteso, una dissonanza di tono. E' identico dal principio alla fine, nel graffio e nella carezza, nel peccato e nell'assoluzione.
E' un film che si preoccupa di non farsi etichettare (forse sull'onda delle recenti cronache politiche), che vive di troppe indecisioni. E' a suo modo uno specchio del momento che sta attraversando il paese. Il che non è necessariamente un complimento.P.S. I panni sporchi una volta si dovevano lavare a casa, ed era male. Oggi serpeggia invece un puntiglio di segno opposto, non meno odioso: i panni sporchi si stendono e si mostrano senza vergogna, perfino con perfido sorriso, come se bastasse questo a farci sentire più onesti e puliti, in coscienza tranquilli. E' il trend della nuova stagione politica italiana, una nota di merito con una punta di rischio: anzichè togliere lo sporco ci si accontenta di ostentarlo, denunciarlo, in breve e alla lettera ri-velarlo. Una pericolosa, probabilmente involontaria, strategia del nascondimento a cui questa nuova, vecchia, commedia italiana, pur con tutte le buone intenzioni, finisce per prestare il fianco.