Eli Adler (Billy Crystal), da poco vedovo, è uno psichiatra infantile. L'incontro con Noah (Jacobi Jupe), bambino problematico, segna il suo rientro al lavoro dopo il lutto, ma non il ritorno alla vita quotidiana di prima: qualcosa è inevitabilmente mutato per sempre. Una misteriosa connessione sembra legare il passato del piccolo paziente alla defunta Lynn (Judith Light, Transparent), compianta moglie di Eli. Come è possibile? La salvezza di Noah diventa ben presto per Eli un'ossessione che lo porta a mettersi contro colleghi e familiari, fino a mettere a repentaglio la propria incolumità fisica e psichica.

Before è un thriller dalle atmosfere cupe, che vede contrapposti la razionalità della medicina, incarnata fieramente dal protagonista, a imprevedibili situazioni che sfuggono alla logica e alla coerenza. Come comportarsi quando ogni tentativo di incasellamento è vano? Il viaggio di Eli è lacerante: per la prima volta le sue conoscenze e la lunga esperienza lavorativa sono inefficaci, e guarire il paziente appare impossibile. Ma è davvero la prima volta, oppure è accaduto anche in passato? E quando? "Before", ovvero "prima", suggerisce in tutta onestà il titolo.

Anche per Eli c'è un prima e un dopo: l'amata moglie Lynn si è tolta la vita, ed è stato proprio lui il primo a scoprirlo. La porta chiusa del bagno di casa e l'acqua che goccia perennemente fuori dalla vasca, sul pavimento, sono immagini ricorrenti nella mente del protagonista; un trauma, si direbbe in medicina. Eppure il nostro rifiuta di prenderne atto, negandolo anche nelle sue sedute personali di analisi: sto bene, dice. Sappiamo che forse non è proprio così, intuiamo velatamente che dietro i sorrisi e l'aspetto ordinario c'è una tempesta in atto. D'altronde Lynn è in qualche modo presente, appare a Eli in vari momenti, talvolta sorridente, talaltra incuriosita. Anche la sua voce c'è ancora. Inutile dire che nessun'altro può vederla o ascoltarla, e il protagonista si guarda bene dal condividere con altri tutto ciò. Al punto che, coerentemente con la razionalità che ha sempre sostenuto, Eli reagisce male quando la nipotina afferma candidamente di poter parlare con la defunta nonna, e che anzi, se vuole gliela può anche passare al telefono. Billy Crystal, in una delle rare interpretazioni drammatiche della sua cinquantennale carriera, non commette errori ed è ottimamente in parte. Il suo ruolo non è affatto semplice, ma lui riesce a essere credibile anche in situazioni ad alto rischio di ridicolo – lo vedremo parlare con la cavità di un albero, a un certo punto. Ecco, possiamo dire che Before è uno di quei prodotti in cui allo spettatore è richiesta una certa dose di sospensione dell'incredulità, ovvero la volontà di accettare una narrazione che va talvolta a pescare nelle coincidenze più inverosimili, rendendole plausibili per amor di storia. Il riferimento non è soltanto per la trama in sé – e ci mancherebbe. Si tratta più di semplificazioni e scorciatoie usate per rendere più fluida la trama, soprattutto nei rapporti di Eli con gli altri personaggi. Verrebbe però da aggiungere che a monte c'è una questione superiore, che risiede nel tentativo di mantenere vive entrambe le opzioni, razionalità versus follia, fino alla fine. Un'idea ambiziosa e sulla carta vincente, che però nella realizzazione scricchiola un po'. C'è sempre qualcosa di poco chiaro, o che comunque non torna, o, nel peggiore dei casi, confuso.

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La scrittura ha ambizioni raffinate, con elementi che ritornano e una costruzione un po' a matrioska: ogni scoperta, ogni passo avanti compiuto dal protagonista non è mai risolto completamente, bensì apre a un nuovo scenario molto simile al precedente ma con variazioni inattese e con nuovi rovelli da decifrare. I titoli dei singoli episodi ("L'impostore", "Lo scienziato", "Il bugiardo", ma anche "E l'oscurità venne chiamata notte" e "Quando noi morti ci risvegliamo") rimandano a una narrazione epica e ne rivelano anche l'intenzione poetica. L'ideatrice, Sarah Thorp (Il cacciatore di ex) ha al suo attivo anche Jacob's Ladder (2019) remake di Allucinazione perversa, film anni Novanta diretto da Adrian Lyne che racconta di un veterano della guerra del Vietnam che soffre, per l'appunto, di allucinazioni, e ne descrive la progressiva discesa nell'incubo. Non molto distante dal percorso di Eli: anche lui poi in un certo senso è un veterano, ma della psichiatria infantile. Infatti, almeno inizialmente, la sua esperienza gli consente di aprire rapidamente un canale di comunicazione con Noah, con l'approvazione della stimata collega Jane (Hope Davis, Synecdoche, New York, Succession).

Mentre i termini medici – transfert e controtransfert, su tutti – vengono sciorinati senza riuscire mai a spiegare credibilmente la realtà, una forza indecifrabile fa star male il bambino ogni momento di più. Nei suoi otto anni di vita, Noah ha cambiato molte famiglie affidatarie: è ingestibile e violento. Al momento dell'incontro con Eli il piccolo soffre di mutismo e il misterioso male che l'affligge fa saltare i parametri vitali e ne richiede anche il ricovero in ospedale. Ma nemmeno lì, tra una mascherina per l'ossigeno e una flebo, c'è la soluzione per guarirlo. L'ultima speranza per non finire solo, senza famiglia, ricoverato a vita e senza un vero perché è proprio Eli, l'esperto psichiatra chiamato in soccorso per un caso altrimenti irrisolvibile. Non è la mera ambizione che motiva Eli, ma una vera e propria missione da compiere. Denise (Rosie Perez, che fu Tina per Spike Lee in Fa' la cosa giusta) è la madre affidataria dolce e forte, e proprio come Eli non ci pensa a mollare, nonostante le difficoltà. Quello che diventa sempre più chiaro è che nel passato di Noah c'è un grande e innominabile trauma: qualcuno gli ha fatto male, molto male. A tal punto che le parole non ci sono più, se escludiamo quelle che nessuno riesce a capire, quelle che sembrano appartenere a una lingua straniera sconosciuta. Il rapporto medico-paziente è travagliatissimo, e una vera sofferenza per Eli, che è come avviluppato al bambino in una spirale di caos e irrealtà. Le visioni grottesche e disgustose che popolano la quotidianità di Noah – e non solo - mirano a mettere lo spettatore nei panni del bambino, descrivendo con grande aggressività la sua psicosi. E quindi non possono mancare numerosi jumpscare, con scene tormentate da immagini lugubri e orribili che fanno letteralmente saltare sulla sedia. Ma il tono oscilla sempre tra la razionalizzazione degli incubi e la materializzazione dell'orrore, giocando in modo interessante con questa ambiguità, senza però essere efficace tematicamente. Arrivati all'ultimo episodio, ci è stato senz'altro spiegato il mistero e il tema narrativo ("per vivere dobbiamo accettare che dietro la realtà che percepiamo c'è altro"), però in modo poco illuminante, lasciandoci l'impressione che una simile idea meritasse un trattamento più affilato e ficcante. Fermandoci però al solo punto di vista emotivo, invece, lo scioglimento finale è a modo suo efficace e soddisfacente. L'epilogo occupa per intero il decimo capitolo e dà una conclusione al tutto coerente e commovente, oltre a regalarci una delle più drammatiche e intense scene d'amore viste su piccolo schermo degli ultimi tempi.

Il canale tematico Apple con questa serie torna a esplorare il contorto mondo della mente umana, come già con Shrinking, giunto intanto alla sua seconda stagione. Altro bollino di qualità che accomuna Before alle sue sorelle di scuderia è la grande attenzione alle scelte musicali, sempre varie e sempre valide. Incuriosisce la scelta del formato: ogni episodio dura circa mezz'ora, talvolta anche meno. Una scelta probabilmente necessaria per dare maggiore ritmo al tutto, sfruttando – a volte anche un po' disonestamente – l'eterno fascino del finale di episodio appesi a un precipizio con la curiosità di sapere cosa accadrà.

Nonostante le imperfezioni che avrebbero probabilmente mandato qualunque altra serie a gambe all'aria, Before ha il pregio di riuscire a generare una grande empatia col suo protagonista, che si cristallizza lentamente ma inesorabilmente, creando un legame con lo spettatore che va oltre la parola fine, oltre le goffaggini e i limiti della messa in scena, e rimane con noi anche parecchio tempo dopo la visione. Before riesce a fare questo anche ispirandosi a quella nutrita schiatta di film a cavallo fra gli anni Novanta e i Duemila - da Il sesto senso di M. Night Shyamalan al The Others di Alejandro Amenabár - che cominciano come un thriller per sconfinare poi nel territorio dell'horror soprannaturale e chiudere con un colpo di scena più o meno strepitoso che li trasforma miracolosamente in drammi psicologici.

E pure se Before, che denuncia subito scopertamente le sue intenzioni quasi mélo, non va a segno con la stessa intensità dei suoi parenti nobili, né possiede un finale ugualmente sbalorditivo, la eco di questi legami di sangue non rende la serie un prodotto derivativo o stanco. Certo, può far drizzare le orecchie allo spettatore smaliziato e non più giovane, e può far borbottare il cinefilo oltranzista, ma in fondo percorre quietamente la serie come un tratto ereditario non invasivo a cui Before non può rinunciare, ma su cui gioca con onestà e senza enfasi, trovando infine una propria solida identità.