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Dopo le vacanze di primavera (le Spring Breakers del precedente film), Harmony Korine si immerge nell’esplosione di un’estate che annuncia l’autunno. Che sia l’acqua tersa di una piscina o quella inquinata del mare, Beach Bum, film più alcolico che lisergico, festaiolo anziché festoso, si dimena tra i cubetti di ghiaccio di un drink bevuto troppo in fretta.
Perché – non è difficile intuirlo – oltre l’ottimismo c’è l’orizzonte della dolce malinconia di settembre. Korine la suggerisce nei bagliori di improvvisa e sfuggente coscienza, la nasconde nel bisogno di divertimento dei suoi personaggi disposti a tutto pur di non rinunciare alla propria libertà. Per lui, autore indie senza parrocchia, è anche un racconto sull’indipendenza rispetto ai modelli costituiti.
Commedia vertiginosa e vivacissima, Beach Bum è un film sulla radice del divertimento. Divertire come distrazione, per divergere, volgere la mente altrove, distogliere l’attenzione dal dolore.
Tutto incarnato dal protagonista, Moondog, antieroe stoned che sembra un esuberante residuato della stagione beat. Poeta felicemente scapigliato sulla costa della Florida, un po’ cialtrone (“Magnum P.I. è basato sulla mia vita, è come guardarsi allo specchio”), amato da tutti perché svincolato da regole e convenzioni borghesi.
Uno stile di vita, tuttavia, che non potrebbe avere senza le risorse finanziarie della ricchissima moglie. Interessante, il loro matrimonio: non vivono insieme, si tradiscono con nonchalance e coltivano un amore allegro e carnale. E non hanno certo pudori di fronte agli imperturbabili inservienti, abituati alle bizzarrie dei due.
Quando un fatale imprevisto mette a repentaglio le basi economiche della sua vita, Moondog è costretto ad affrontare inattesi contraccolpi. Potrà nuovamente disporre delle finanze della consorte solo dopo aver frequentato un centro di riabilitazione e pubblicato la nuova opera letteraria.
Non c’è un vero “percorso di redenzione”, in Beach Bum. E, in fondo, a un personaggio come Moondog, alfiere del disimpegno, non chiediamo di cambiare o di migliorare.
Matthew McConaughey, in questo senso, è interprete perfetto. Portandosi dietro il fascino del golden boy della rom-com slittato verso lidi più disturbanti (Oscar compreso) fino al recente smarrimento, approda qui a un ruolo vorticoso e ambiguo, epicureo e fragile. Praticamente la sintesi di una carriera schizofrenica.
Korine lo accompagna verso l’accesso a una nuova consapevolezza, senza la necessità di investirlo di significati metaforici o di farne il rappresentante di un mondo sopra le righe. Attorno a lui, un microcosmo di eccentrici, da Zac Efron con barba incredibile a Snoop Dogg e le sue piante fino al capitano Martin Lawrence e l’agente Jonah Hill.
Da un lato ci si abbandona alla percezione che non vi sia un reale palinsesto narrativo quanto piuttosto una ragionata improvvisazione nel divenire del film stesso. Dall’altro, l’ancoraggio finale sembra qualcosa di atteso fin dall’incipit. Come se Beach Bum sia per Moondog l’occasione per vivere una tappa supplementare di un romanzo di formazione che credeva concluso da tempo.
Dallo sballo al riflusso? Forse no. Ma il finale è pirotecnico.