Un giovane archeologo, scozzese ma detto l’Irlandese (Elliott Crosset Hove), turba con i suoi scavi a uso scientifico e vieppiù commerciale la minacciosa quiete dell’Aspromonte, liberando le Ninfe (Angela Fontana, con ausilio di CGI), mitiche e fascinose creature a metà tra umano e divino, vita e morte, con esiti devastanti per il remoto villaggio. È Basileia, lungometraggio d’esordio di Isabella Torre, dopo i corti Ninfe, Vernice e Luna Piena, che chiude le Giornate degli Autori a Venezia 2024.

Montaggio e co-produzione di Jonas Carpignano, compagno della regista, musiche di Andrea De Sica, Basileia trova nell’epifania delle Ninfe, chiamate a “ristabilire la distanza tra gli uomini e i misteri del mondo” (Torre), il contrappunto ideologico alla profanazione dello stato di natura perpetrato dall’Irlandese, che non può non sovvenire l’omologo inglese (Josh O’Connor) de La Chimera, e insieme la predilezione poetico-stilistica per l’elemento fantastico sull’antropologico e il naturalistico, per quanto annoverati e curati siano.

Ne viene una sorta di magia realistica, più che realismo magico, in cui Torre da un lato rammenta la facilità esplorativa e registica di Carpignano nella non riduzione etnografica e nella “presa diretta” del milieu, dall’altro perfeziona una vocazione all’altrove e all’alterità, che dalle preghiere cristiane sconfina, per un’altra incarnazione, nelle sfuggenti e temibili e preraffaellite Ninfe, così reminiscenti di Erinni. Su questo coté, che apre a un horror di atmosfera e suggestione, qualcuno tirerà fuori The Ring, ma più immodestamente torna negli occhi Post Tenebras Lux di Carlos Reygadas, diavolo compreso.

Ci sono le esitazioni poetico-stilistiche dell’opera prima, con qualche secca di sceneggiatura e qualche circonvoluzione drammaturgica, ma più evidente, e premiante, è lo schietto rifiuto dell’illustrazione, leggi del “dire e vedere tutto”, e l’ampia fiducia nelle capacità ermeneutiche dello spettatore e, ancor più, nel valore euristico del mistero.

Eidetica la fotografia di Mélanie Akoka, internazionale l’attitudine e la fattura, nelle nebbie di senso e nelle brume antropiche dell’Aspromonte ecco manifestarsi l’archeologia del futuro, con ricadute presenti: Isabella Torre c’è, e si farà.