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Ryan Gosling e Margot Robbie in Barbie © 2022 Warner Bros. Entertainment Inc.
La vita è perfetta a Barbieland. Ogni giorno splende il sole, il rosa è il colore dominante, le Barbie - tutte diverse nella loro spaventosa omologazione - occupano tutte le posizioni apicali della società, a dispetto dei Ken, semplici figure di contorno.
Ma quando la Barbie "stereotipo" (Margot Robbie) inizia ad avere pensieri mortiferi ecco che qualcosa incomincia a scricchiolare: i talloni toccano terra e un primo, impercettibile segno di cellulite fa capolino... L'unica possibilità per ristabilire l'ordine precostituito è intraprendere il lungo viaggio verso il Mondo Reale e trovare la bambina che ha trasmesso all'iconica creatura Mattel quel senso di negatività.
Atteso dagli esercenti del pianeta (oltreoceano l'altro titolo forte è Oppenheimer di Nolan, che da noi arriverà solamente tra un mese, il 23 agosto) come l'elisir capace di ribaltare un andamento ai botteghini non proprio esaltante, Barbie di Greta Gerwig (che la regista di Lady Bird e Piccole donne ha scritto insieme al compagno Noah Baumbach) è un "vorrei ma non posso" che mescola la plasticità colorata dell'universo eponimo al camp e alla farsa: l'obiettivo ultimo, perché ovviamente non può mancare il messaggio in un film platealmente manifesto, è l'autodeterminazione di una bambola che da oggetto finirà per scoprirsi umana. E per questo, naturalmente, non necessariamente perfetta.
Un po' musical, un po' commedia demenziale (ma mai fino in fondo, sarebbe stato forse meglio), un pelo dissacrante (il prologo che fa il verso al monolite di 2001: Odissea nello spazio già ampiamente svelato dal primo teaser trailer), dal ritmo non proprio invidiabile (due ore si sentono tutte) ma con qualche discreta trovata (la ribellione in nome della scoperta del patriarcato capitanata dal Ken impersonato dal biondissimo e pompatissimo Ryan Gosling), Barbie dà un colpo al cerchio e uno alla botte, tenta l'aggancio nostalgico con le mamme di oggi (America Ferrera) per parlare alle adolescenti consapevoli (Ariana Gleenblatt), quelle che hanno rifiutato l'idea della bambola emblema del capitalismo ma che, in fondo, non ne avevano colto le potenzialità nascoste…
D'altronde a produrre il film c'è anche la Mattel, quindi ok la presa in giro verso il corpo dirigente totalmente maschile (e capitanato da Will Ferrell) ma alla fine cerchiamo di portare acqua al mulino giusto: e chissà che sugli scaffali non arrivi la Barbie in Birkenstock o quella che prende il suo primo appuntamento dal ginecologo. Le vie del merchandising sono infinite, del resto, proprio come l'esistenza della bambola inventata da Ruth Handler, alla quale tutto sommato il film rende anche omaggio, con l'interpretazione "fantasmatica" di Rhea Perlman.
Chissà che non rivivano anche i fratelli Grimm o Walt Disney stesso nell'imminente Biancaneve in versione live action che proprio Greta Gerwig sta ultimando per la casa di Topolino: protagonista la Rachel Zegler di West Side Story (attrice di origini colombiane) e sette nani non più nani, nessun principe perché l'eroina sarà in grado di salvarsi da sola. Nulla da eccepire, ci mancherebbe altro, ma non avrebbe più senso inventare storie e personaggi nuovi, per stare al passo coi tempi, piuttosto che modificare un immaginario pregresso, figlio di tempi che non ci appartengono più? E che, con buona probabilità, non è in grado di parlare alle nuove generazioni? Problema che forse avrà anche questo Barbie, sperando naturalmente di essere smentiti dal trionfo ai botteghini.
Ah, sì, c'è anche Dua Lipa (che canta la hit Dance the Night), ma è nulla più che uno dei tantissimi accessori che popolano le plastiche colorate di Barbieland.