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Bambole russe
Dopo la temporanea e convincente esperienza del poliziesco Autoreverse, il francese Klapisch torna a raccontarci di quei ragazzi che, poco prima, avevano affollato il multiculturale Appartamento spagnolo: il trentenne Xavier (Romain Duris) si barcamena come ghostwriter e come autore di melensi sceneggiati televisivi, facendo la spola tra Parigi e Londra. Fieramente single, anche se la sua migliore amica è l'ex ragazza Martine (Audrey Tautou), vive con leggerezza e scarsa partecipazione ogni rapporto occasionale. L'improvviso viaggio a San Pietroburgo, in occasione del matrimonio di uno degli ex coinquilini barcellonesi, servirà - oltre a ritrovare il vecchio gruppo – a comprendere la portata di un amore dapprima sottovalutato. Sequel poco convincente del già sopravvalutato, comunque meno mediocre, prototipo, Bambole russe distrae gli sguardi ancora una volta grazie al simpatico talento del suo protagonista (quel Romain Duris già tzigano e maghrebino per Tony Gatlif, in Gadjio Dilo ed Exils), ma dimostra in progressione tutti i suoi limiti: eccesso di scrittura, giochini paracinematografici e metatelevisivi, intrecci impossibili e sviluppi da soap opera (paradossalmente scherniti per tutta la narrazione) asserviti ad una regia tanto brillante quanto, alle lunghe, sopra le righe. Logorroico nei tempi (123') e - pur furbamente senza farsene accorgere – nei modi.
Ultima considerazione sul titolo della pellicola che, oltre a voler rappresentare la spendibilità del prodotto anche al di là della sua origine, sembra dapprima riecheggiare i fasti di pruriginosi soft-core d'annata per poi rivelarsi, miseramente, quale metafora più banale ("le donne sono come le bambole russe"…) della stessa banalità che il protagonista vorrebbe sconfiggere per l'intero corso del film. Profondamente frivolo.