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Balada triste de trompeta
La Storia verrà ricordata come il tema principe di Venezia 67. Dopo Miral, Post Mortem, Meek's Cutoff, The Ditch e il Risorgimento di Martone, tocca allo spagnolo Alex De La Iglesia fare opera di revisionismo, sia pur a suo modo.
In Balada triste de trompeta sono i fantasmi del franchismo a prendere corpo, anzi ghigno: due pagliacci, uno triste, l'altro “divertente”, per ripercorrere gli anni bui della Spagna che fu e, forse, è ancora. Corpi, dicevamo, ma svuotati, anche letteralmente, di umanità, viscere, psicologia: solo simboli, e pure scoperti, di un pamphlet che si fa circo, di un film che si fa farsa. Sì, perché questa Balada sarà pure triste, lo è dal punto di vista artistico, ma soprattutto insulsa: smaccata sin dal footage storico-politico dei titoli di testa (gli unici secondi di film a salvarsi), l'intenzione è quella ricattatoria di fare del circus-horror la cartina tornasole grottesca e fessa del vulnus franchista.
Ma, caro Alex, non ti è andata bene: la Balada dei due pagliacci bestiali intorno alla bella svampita e vogliosa è stonata, cacofonica e stoltamente barocca da cancellare qualsiasi riflesso tra Storia e questa storia di ordinaria furbizia e mediocre cinema.
Costoso, di qualche valore nel trucco e parrucco, colabrodo davanti e dietro la camera (gli effetti speciali risibili, la regia forsennata quanto caciarona, gli attori credibili come una velina franchista), la domanda è una: perché in concorso? Bah.