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BABYGIRL - Nicole Kidman e Harris Dickinson (Credits Niko Tavernise)
Vi ricordate La cagna di Ferreri? E Attrazione fatale di Lyne? E Cinquanta sfumature, e American Psycho, e Wall Street? E De Palma? E la Kidman che sussurra a Cruise “Se solo sapessi…”? Ecco, dimenticateveli. Ma insieme rimandateli a memoria, perché Babygirl un po’ ci è e un po’ li (ri)fa’: il potere è del cane, con questa declinazione maschile, ché Nicole Kidman è brava, bravissima, non ci provate. Di potere poi c’è il sesso, coniugato senza orgasmo, aziendalizzato con godimento previo asservimento: aaahhh, gli stagisti, croce e delizia per lo più digitale.
Insomma, Haalina Reijn, olandese, classe 1975, torna a filmare per A24 dopo Instinct (2019) e Bodies Bodies Bodies (2022) e con Babygirl restituisce a Venezia, dove latitava dal 2004 (Birth), e al cinema tutto la signora Kidman, che si spoglia più di un po’, ansima e spadroneggia fino a umiliarsi, complice l’intern Harris Dickinson (Triangle of Sadness) che gli dà quello che il marito teatrante Antonio Banderas le preclude.
“Una potente amministratrice delegata mette a repentaglio la carriera e la famiglia quando inizia una torrida relazione con un suo stagista molto più giovane”, vuole la scarna sinossi, ed ecco le convergenze parallele di femminismo e yuppismo, elevati a potenza e attualità dall’intelligenza artificiale, che in questi primi giorni di Lido si grattugia su più copioni. Nicole Kidman incarna l’autodeterminazione femminile, Dickinson comprova che il maschio, anche merlo alla bisogna, serve ancora, Banderas ridotto dall’infedeltà a “teatro, digiuno e Bibbia” attesta che tocca svegliarsi, darsi a rapporti meno completi o comunque meno missionari e cedere briglia sciolta alla di lei immaginazione: il triangolo, sì, va riconsiderato.
Va preso sul serio Babygirl? L’inserimento in Concorso a Venezia 81 farebbe propendere per il sì, sicché ci si accanirà sulle sue aporie, le ingenuità, le ipocrisie, come se poi il cinema e la vita stessa fossero diversi: intanto la Kidman che fa la gattina, ovvero beve latte dal piattino, la cagnolina, ovvero prende il biscottino, ha il suo perché, e diciamo subito che nel novero delle star si mette nel taschino sia la garrula Angelina Jolie di Maria che la Cate Blanchett dolente di Disclaimer.
Poi, è un film di donna, Reijn anche sceneggiatrice, e di donne a uso e consumo delle stesse e, forse ancor più, dell’attuale sesso debole: Banderas parla del masochismo femminile come di umiliazione maschile, o giù di lì, e non ha capito nulla, e quasi gli prende un colpo. Il thriller sarà anche erotico, ma lo spirito, del tempo, è geometrico, con gli angoli vivi e la coscienza subliminale: la fantasia femminile che tutto può, quando ben remunerata, e molto si concede - è il capitalismo, bellezza.
Potrete derubricarlo a boiata pazzesca, con qualche residua legittimità, ma non è che il sesso e le sue dinamiche di potere – e specularmente il potere e le sue dinamiche di sesso – vi facciano alzare la voce e levare il ditino più per atavica paura, e quanto maschile, che per rigetto critico? Ah, non saperlo.