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Lo chiamano J-horror, è il brivido che viene dal Giappone. Spesso è ancorato alla tradizione, a fantasmi assetati di sangue, presenze pericolose pronte a portare l’inferno sulla Terra. Ma Audition, forse il film più famoso di Takashi Miike in Occidente, appartiene davvero a questo filone? Scava più a fondo, supera il genere.
La femme fatale è demoniaca, anche se in carne e ossa. Rapace, attende che le sue prede si facciano avanti da sole. Ma non è uno spirito dantesco, non nasce dalle fiamme della colpa. Ancora una volta è figlia dell’abuso, di quel terrore serpeggiante che non viene mai mostrato.
A ventiquattro anni dalla prima proiezione, Audition riesce a mettere da parte lo scandalo. La violenza resta esasperata, il torture porn nel millennio a venire non sarebbe stato lo stesso senza Miike. Ma andando oltre le cascate di sangue, Audition è uno dei più riusciti ritratti della solitudine degli ultimi decenni. La bestialità scaturisce dalla mancanza di comunicazione, il dolore viene generato dal sentirsi trascurati, oggettivizzati.
Il killer è una lady vendetta, in anticipo sul cinema che sarà, molto prima del nostro #metoo. I provini sono organizzati per trovare una nuova moglie al protagonista. La solitudine è quindi doppia, riflessa. Da una parte l’essere vedovo, “l’uomo che non può stare senza una donna”. Dall’altra la giovane vittima, sempre “usata”, mai sostenuta, che vuole sovvertire l’ordine.
L’attacco di Miike è anche al sistema conservatore giapponese, a un patriarcato che ha fatto il suo tempo. Audition è una storia di corpi che si perdono. Mutilati, massacrati, relegati in stanze buie, in incubi costanti che scandiscono l’incedere del giorno. È una storia che provoca attraverso le immagini, s’intende, ma che chiede di astrarsi, di non fermarsi a ciò che vedono gli occhi.
Audition è un incubo basato sulla memoria, sul rimorso, sul trauma. Il passato è un’arma, è il vero coltello che colpisce. Per questo Miike usa spesso un montaggio ultraveloce, scatena il potere dell’illusione, gioca con le linee narrative per aggiungere dettagli, in un turbinio di luci e ombre. Ne scaturisce un’immensa allucinazione, dove l’unica verità è la disperata ricerca di affetto. Ieri come oggi Audition è la pietra angolare della carriera di Miike, che qui ha realizzato forse il suo affresco più ispirato. Tratto dall’omonimo romanzo di Murakami, sarà in sala in versione restaurata il 23, 24 e 25 gennaio.