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Ariane Labed e Evangelia Randou in Attenberg
Non una storia d'amicizia, ma istantanee di un rapporto bizzarro, protagoniste due ragazze che condividono saliva e insulti, pruriti e idiozie. Non è nemmeno il racconto di un distacco, pure se una figlia e un padre sanno già che si separeranno, che il secondo è malato terminale all'ultimo stadio. Di certo non può essere l'educazione sentimentale di una ventenne - Marina, il personaggio principale - perché se impara qualcosa è tutta compresa nella sfera sessuale.
Attenberg - della greca Athina Rachel Tsangari, in concorso - conserva semmai l'esoscheletro di tre tipologie di racconto, senza sceglierne nessuna. Non è ciò che contiene ad imporsi, ma quello che manca. In sintesi: autentiche dinamiche di scambio, bivi, percorsi, costrutti affettivi e parabole di senso. Il montaggio snobba qualsiasi necessità narrativa, reitera situazioni senza sbocco, dialoghi insensati, grotteschi siparietti. E poi raccordi senza funzione, se non quella d'insinuare un "disturbo" nelle aspettative dello spettatore. Come provenissero da un altro film, sono immagini senza nessuna logica di concatenamento, nessuna storia da raccontare, valgono per se stesse.
Quella che vediamo dipanarsi è un'insostenibile infondatezza dell'essere, giocata su ripetizione, immobilità, quadri anaffettivi, ovvero la sintassi poetica dell'autorialtà europea. Ad essersi inceppata è ancora una volta la meccanica dell'umano, il magico accordo che determina la persona in rapporto a se stessa e al mondo circostante. Ai personaggi della Tsangari non resta che l'imitazione di un pianeta animale - il ritorno a una forma di natura, seppur finzionale - la ridiscussione dei tabù, il cul-de-sac dell'istinto nelle paralisi del discorso (di cui è maestra Marina, nel compimento dell'atto sessuale).
In breve la sparizione del soggetto nell'antro postmoderno, cui nemmeno la morte - ridotta a una pratica da sbrigare come le altre - sa sfuggire. Problemi di cui la filosofia occidentale discute da decenni e il cinema ha già affrontato in tutte le salse. Magari qualcuno lo riferisca alla Tsangari...