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Astro Boy
Un bambino classe 1951. Uno che adulto non è mai diventato, non perché sia un inguaribile immaturo ma perché, protagonista di una favola con un lieto fine e un inizio straziante, è morto quando stava per spiccare il volo. E un padre disperato, fanta-Geppetto della robotica, lo clona in un simulacro meccanico, che ha anima, cuore e cervello, alla faccia dei suoi transistor. Un Pinocchio del futuro, un Oliver Twist rifiutato dal padre, dalla società (Metro City) e perseguitato dallo stato (pre)potente, da un presidente guerrafondaio che risveglia i nostri ricordi più recenti.
E il segreto del Peter Pan di Tezuka Osamu (Silvio Muccino lo doppia con zelo e bravura), rivisto con rispetto e pudore dall'americano David Bowers, è l'essere attuale in quel dopoguerra come oggi. Dai tre robot che fanno la rivoluzione (in italiano hanno la voce del Trio Medusa), pardon la roboluzione a quel mondo a strati, tra la Superficie-bidonville all'isola volante di ricchi e potenti, Astro boy è una dolce e ficcante metafora adulta per bambini (e viceversa). In un manga eticamente ed esteticamente essenziale ritroviamo il nostro mondo scalcagnato e cinico.
Che però non sa farsi salvare dai bambini. Né, tantomeno, salvarli da se stesso.