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Gianni Di Gregorio e Stefania Sandrelli in Astolfo - Foto di Sara Petraglia
“E me lo dice così?”. Professore in pensione, Astolfo dall’oggi al domani si vede sfrattato dal suo appartamento in affitto a Roma.
Non ne fa un dramma, il professore, e dopo un naturale spaesamento iniziale ripiega nella vecchia casa di famiglia, un rudere in un paesino del centro Italia che un tempo era stato un palazzo nobiliare.
È l’incipit della quinta fatica registica di Gianni Di Gregorio, semplicemente Astolfo perché – ancora una volta, ma forse di più – il cinema del 73enne trasteverino fa di semplicità virtù, di leggerezza stile di vita e narrazione, di naturalezza nei rapporti marchio insindacabile.
Qualcuno (Alberto Testone) si è intrufolato da “sei, sette, ott’anni” in quella casa ormai disabitata? E che problema c’è, si va a fare la spesa e si rimane lì insieme. Al piccolo alimentari del borgo c’è chi si offre di fare la spesa per te e di portartela addirittura a casa? Oltre alla mancia resterà in quella casa pure lui (Gigio Morra), ripagando l’ospitalità con la preparazione di sughi prelibati.
Un vecchio cugino (Alfonso Santagata), poi, viveur indefesso, costringe Astolfo ad un pranzo a quattro: l’uomo incontra Stefania (Sandrelli), e si innamora. Ma a quell’età è possibile ripensarsi, felici, in due?
“Sicuramente il lungo isolamento dovuto alla pandemia e un acciacco di salute hanno scatenato una reazione straordinaria e incontrollata, considerando il fatto che mi sono messo a parlare d'amore alla mia età. Ma in effetti – spiega Di Gregorio – l'amore non ha età, e lasciare aperto uno spiraglio all'amore, all'empatia e all'amicizia è importante per la qualità della nostra vita”.
Astolfo si adegua senza colpo ferire e senza appesantirci con inutili spiegoni (che in altre circostanze certo cinema radical chic ci avrebbe inevitabilmente appioppato) ad una dimensione altra, ad una vita di provincia dove l’arte di arrangiarsi e vivacchiare, al netto delle problematiche con i vicini (“quelli so i preti”…) e con l’amministrazione comunale, restituisce anche la gioia di rimembranze che si pensavano dimenticate (la finocchiella nel sugo di pasta e fagioli) e lo slancio verso un domani da affrontare con il sorriso aperto, verso ignoti orizzonti.
Dopo Lontano, lontano Gianni Di Gregorio (di nuovo “professore”) ragiona ancora una volta sulle possibili traiettorie di vite in transito chiamate a ricalibrarsi ma senza stravolgimenti esistenziali: è questa, come sempre, la carta vincente di un cinema che non ha alcuna pretesa se non quella di regalare poco più di un’ora e mezza di commedia umana, spensierata e vitale. E che conferma la dimensione, quella dell’universo Di Gregorio, sempre piacevolmente riconoscibile, capace di generare la stessa sensazione che danno le persone, e i luoghi, con le quali e nei quali ci ritroviamo a nostro agio, felici, senza pensare di voler essere altrove.
Nella sezione Grand Public della XVII Festa di Roma, Astolfo sarà nelle sale dal 20 ottobre.