Halfdan Ullmann Tøndel è il figlio di Linn Ullmann, giornalista e scrittrice norvegese che, da bambina, nei primi anni ’70, prese parte a due film diretti dal papà Ingmar Bergman e interpretati dalla mamma, Liv Ullmann (Sussurri e grida e Sinfonia d’autunno).

Classe 1990, Ullmann Tøndel – che di quei due mostri sacri è dunque il nipote – esordisce al lungometraggio con Armand e fa subito centro: Camera d’Or al Festival di Cannes (era in Un Certain Regard) e ingresso nella shortlist dei 15 titoli che si contenderanno la cinquina per il miglior film internazionale ai prossimi Oscar, il film – che arriva in Italia dall’1 gennaio 2025 con Movies Inspired – è un sorprendente e tesissimo kammerspiel ambientato dentro una scuola elementare.

L’anno scolastico sta volgendo al termine, ma poco prima delle vacanze estive i genitori di Armand e Jon vengono convocati dalla dirigenza scolastica in seguito a un “fatto” avvenuto tra loro. Il papà e la mamma di Jon, l’accusatore, da una parte, la mamma-vedova di Armand, l’accusato, dall’altra: nessuno sembra davvero in grado di spiegare cosa sia successo, le versioni dei due compagni (riferite) non coincidono, le opinioni si contrappongono e le certezze degli adulti iniziano a vacillare. Si è trattato di un gioco tra due bambini di sei anni o di qualcosa di molto più serio, pericoloso?

Armand
Armand

Armand

Claustrofobico e oppressivo, sorretto da una prova maiuscola di tutti i suoi interpreti (Ellen Dorrit Petersen, Endre Hellestveit, Thea Lambrechts Vaulen, Øystein Røger, con Elisabeth, la mamma di Armand, interpretata dall’ormai lanciatissima Renate Reinsve, premiata a Cannes nel 2021 per La persona peggiore del mondo e diretta recentemente da Piero Messina nel bel Another End), il film del regista norvegese ha anche il grande merito di non rimanere ingabbiato in un’unica, prevedibile forma, ma pur non abbandonando mai i vari ambienti dell’istituto scolastico, si trasforma strada facendo sfiorando i lidi dell’horror psicologico, anche grazie a determinati movimenti di macchina che la strepitosa colonna sonora di Ella van der Woude asseconda ed esalta a seconda della situazione.

Il confine tra verità e menzogna, lo sappiamo – e due film recenti per certi versi affini a questo come L’innocenza di Kore’eda e La sala professori di Ilker Çatak ce lo ricordano – è sempre a dir poco labile: che cosa succede e quali sono le “procedure” da adottare quando è il mondo degli adulti a dover stabilire una realtà raccontata dai bambini?

Halfdan Ullmann Tøndel - Photo by Pål Ulvik Rokseth
Halfdan Ullmann Tøndel - Photo by Pål Ulvik Rokseth

Halfdan Ullmann Tøndel - Photo by Pål Ulvik Rokseth

“Anche io ho lavorato in una scuola elementare per molti anni – racconta il regista – e ho potuto constatare quanto i bambini assomiglino ai loro genitori, nel bene e nel male, e come il minimo comportamento che esula un po’ dalla norma, da parte di chiunque, bambini o adulti, viene subito disapprovato e attentamente monitorato. Alla fine, mi sono reso conto che a partire da questi elementi poteva nascere il soggetto di un film che mi avrebbe permesso di riflettere sulla nostra società, sul nostro modo di gestire i conflitti, ma, soprattutto, di esplorare la nozione di limite e il rapporto che abbiamo con questo concetto”.

L’incidente da cui tutto parte, insomma, finirà per portare a galla il vissuto dei rispettivi genitori, i traumi, i rancori: Armand e Jon non sono solamente compagni di scuola, ma anche cugini, e il padre del primo – morto a quanto pare in circostanze mai chiarite del tutto – era il fratello della mamma del secondo. Che cosa succedeva nella famiglia di quel bambino? E quanto l’essere attrice di Elisabeth la definisce anche nella vita reale? Allusioni, sospetti, congetture: e se invece ribaltassimo il punto di vista e tutta la questione non fosse altro che un semplice bisticcio ingigantito da terzi?

Halfdan Ullmann Tøndel infila molte cose nel suo film, è vero, ma senza mai arretrare di un millimetro ci costringe quasi a specchiarci in ciascuno dei suoi personaggi, compresi gli operatori scolastici chiamati a dirimere la questione ma condannati, anche loro, a rimanere senza parole, né strumenti, per risolvere alcunché.