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Arianna ha diciannove anni, un aspetto androgino e una sessualità non ancora matura. Durante un soggiorno estivo con i genitori presso una villa sul lago di Bolsena, luogo frequentato negli anni dell’infanzia, la ragazza si trova posta dinanzi al riaffiorare dei ricordi e alle pulsioni del corpo sollecitate dalla vicinanza della più giovane cugina Celeste, sessualmente già attiva. Il periodo di vacanza sin da subito diviene così, per Arianna, occasione privilegiata per indagare la propria ambiguità fisiologica e andare così a illuminare quelle zone d’ombre celate nel suo passato di cui non sospettava neppure l’esistenza.
Presentato alle Giornate degli Autori durante l’ultima Mostra d’arte cinematografica di Venezia, Arianna segna l’esordio nel lungometraggio di Carlo Lavagna, e si configura come uno scavo intimo e partecipe sul tema dell’inadeguatezza fisica e sessuale e, più ancora, sull’ermafroditismo vissuto e percepito, da sé e dagli altri, alla ricerca di una difficile definizione d’identità personale. Intelligentemente, Lavagna si tiene alla larga da facili estremizzazioni e banalizzazioni delle tematiche affrontate, eccessi tipici dell’età dei social network, puntando su di una messa in scena sussurrata e dimessa, incorniciata dal suggestivo paesaggio del lago e suggellata dallo sguardo intenso della giovane protagonista interpretata da Ondina Quadri. Allo stesso tempo, tuttavia, in diversi punti lo sviluppo drammaturgico soffre di vuoti e di scompensi (superflui o appena abbozzati i personaggi degli “adulti”) che avrebbero richiesto maggiore respiro, né bastano i numerosi nudi integrali di corpi adolescenti a colmare i silenzi e le pause del racconto.