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Anywhere Anytime
I giovani immigrati di oggi come i disoccupati del dopoguerra? Gli Issa sono i nuovi Antonio Ricci nell’Italia delle impari opportunità? La questione di fondo posta dal bel film italiano della SIC – Settimana Internazionale della Critica, diretto da un immigrato iraniano, Milad Tangshir, è in fondo evidente: testare l’aderenza – politica prima ancora che estetica – del neorealismo nell’Italia senza passato di oggi (in un film italiano senza quasi italiani, colpisce l’epifania di una coppia di vecchietti torinesi - lei maternamente accogliente, lui che non ricorda - come spiriti della penisola).
L’assimilazione del modello, Ladri di biciclette, non come capriccio postmoderno ma metodo comparativo, confronto analitico tra due paesi in riconversione – dal fascismo alla democrazia; dalla società tradizionale a quella multirazziale – e con montagne di panni sporchi ancora da lavare.
Tangshir conosce a menadito il film di De Sica e lo dà a vedere in ogni singolo movimento di macchina (certi carrelli a seguire l’andatura in uscita del protagonista ricalcano alla lettera quelli di De Sica), nell’ortodossia della ripresa in esterni, nel totale camouflage dell’artificio, laddove anche la balbuzie del personaggio restano in scena senza correzione, come effetto di verità. L’idea insomma non di un finto documentario ma di un film de-recitato, senza ghirigori, molto neorealista. L’approccio fenomenologico di Tangshir in Anywhere Anytime rilegge la tradizione del verismo senza soggezioni o furbizie d’omaggio: è un soffocare la presenza del set nelle intercapedini della strada, tra i rumori di fuori, le incrostazioni delle periferie. Un tremolìo di passi, respiri e sudori nella reinvenzione dal vero di Torino, da capitale dell’Italia sabauda a suk a cielo aperto.
L’espediente narrativo – il furto della bicicletta di un immigrato clandestino impiegato come rider - è talmente ricalcato sull’originale da dichiararsi per quello che è, lo stratagemma allegorico per dire di un mondo sempre fermo a ieri, derubato della possibilità del futuro. Disperato ma mosso, rianimato da sonorità non ortodosse (bella la colonna sonora di Roberto Gambotto Remorino), allegramente confuso e infelice. Il sole nascosto in una giornata di spiaggia e di mare.
Paradossalmente, c’è un difetto di costrutto. Quel voler dire che rasenta il sentenziare, in un determinismo mascherato da scelte (im)morali che gli esseri umani s’intignano di compiere per conto loro e non per effetto dell’ambiente. Al libero arbitrio, in fondo, il neorealismo credeva di più.