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Chiara Martegiani in Antonia
“Se non si cambia si muore”.
Che poi non è davvero così, o forse sì: il pollo può anche decidere di rimanere pollo, di non diventare gallina, insomma, ma finirà in una confezione nelle catene dei supermercati. Non che la sorte delle galline sia tanto dissimile, camperanno di più, certo, ma ogni mattina devono ricordarsi di darci l’uovo…
Inseguendo “animali di potere” attraverso buchi da oltrepassare per finire nel mondo di sotto, ma ricordandosi di non rimanere incastrati nei tombini (“come fanno gli americani”), il viaggio sciamanico di Antonia è quello di chi, non appena compiuti 33 anni, scopre di essere affetta da una malattia cronica che – subdolamente – fino a quel momento (e dalla giovanissima età) ne ha condizionato l’esistenza, il carattere e sì, sicuramente, anche le relazioni con il prossimo.
È forse anche per questo che, pronti-via, questo personaggio ideato-scritto-interpretato da Chiara Martegiani (nato da un’esigenza personale come raccontato dall’attrice) sembra faccia fatica a stabilire un punto di contatto con noi spettatori: Antonia è tutto fuorché simpatica, è irascibile, scappa anziché affrontare discussioni (con il compagno Manfredi, Valerio Mastandrea, anche compagno di vita e qui supervisore creativo del progetto), fugge – inconsapevolmente, certo – dall’amica di sempre, Radiosa (Barbara Chichiarelli), neomamma alle prese con notti insonni e depressione post partum, che chiama “solo quando ti serve qualcosa”.
Ma è una fuga che, non appena quella perdita improvvisa (e che le costa il lavoro “sicuro” nella soap sugli avvocati in cui interpreta la segretaria Adelaide) si traduce nell’anticamera di un’emorragia che a sua volta anticipa la diagnosi di endometriosi, finirà per trasformarsi in un percorso nuovo, strano, stranissimo certo, ma decisivo per riconsiderare gran parte di sé, e della sua vita, passata e presente.
Sei puntate brevi (poco meno di 30’ l’una), disponibili dal 4 marzo su Prime Video, Antonia – serie scritta dalla stessa Martegiani insieme a Elisa Casseri e Carlotta Corradi – parte come detto in un modo, ma inizia poco a poco a trasformarsi, quasi assecondando la trasformazione della sua protagonista, arrivando forse a definirsi con chiarezza dal terzo episodio (quello del viaggio sciamanico sotto la guida di un’irresistibile Giselda Volodi), momento spartiacque di una messa in scena che – sotto la regia di Chiara Malta (che insieme a Sébastien Laudenbach ha diretto il film d’animazione Linda e il pollo, recentemente premiato ai César in Francia) – sa alternare con buon ritmo (“frenetico e malinconico”) la cifra di un prodotto sempre in bilico tra derive pop, “d’acchiappo” diciamo, e stacchi improvvisi verso situazioni più ricercate, botta e risposta meno a buon mercato e, soprattutto, sa declinare un format “al femminile” senza però incappare nella consueta banalizzazione di dipingere l’altro sesso, gli uomini, in maniera sbrigativamente negativa.
L’isteria dei nostri giorni, l’incedere a casaccio, lo spostamento costante, caotico, emblema di fughe continue da noi stessi, e poi la sospensione di attimi dove realtà e sogno collimano, tra sessuologi (Teco Celio), psicodrammiste (Eleonora Danco), provini da sostenere e aspettative da non deludere (le continue raccomandazioni dell’anziana agente teutonica interpretata da Hildegard Lena Kuhlenberg)…
Collassare – come accade ad Antonia scendendo da un autobus – è il reset necessario affinché si ricominci a prendere confidenza con se stessi: tra nuove figure che irrompono (Michele, ragazzo che sembra provenire da un altro pianeta, interpretato da Emanuele Linfatti) e presenze fantasmatiche che aleggiano (le telefonate della mamma albergatrice, Chiara Caselli, che la rivorrebbe lì a lavorare con lei), Antonia finirà per accorgersi che il suo percorso la porterà a ricusare quell’iniziale “Io so bene chi sono e cosa voglio”. E che non esiste necessariamente alcuna vittoria, o ricompensa, nel compiere percorsi differenti, alternativi, perché il bivio al quale l’endometriosi la mette di fronte (rimanere “pollo”, con una menopausa farmacologica, o diventare “gallina”, fare un figlio) va sì considerato, ma non è detto che bisogna prenderlo subito.