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(From L-R): Jesse Plemons, Jeremy T. Thomas and Keri Russell in the film ANTLERS. Photo by Kimberley French. © 2021 20th Century Studios All Rights Reserved
Scott Cooper è un regista che lavora sulle atmosfere, si concentra sui campi lunghi, sulle luci soffuse. La fotografia dei suoi film è spesso desaturata, in uno scenario in cui il rapporto tra uomo e natura è sempre in guerra. Pensiamo ai boschi di Out of the Furnace – Il fuoco della vendetta, alle vallate di un western come Hostiles – Ostili. Anche in Antlers – Spirito insaziabile Cooper mantiene la stessa cifra stilistica. Colori spenti, spirito cupo.
Prima o poi si sarebbe dovuto accostare all’horror. In fondo anche Out of the Furnace poteva ricordare il genere nella sua raffigurazione della bestialità. Antlers – Spirito insaziabile ci porta in una piccola comunità dell’Oregon sconvolta da una serie di efferati omicidi, che sembrano essere legati alla situazione famigliare di un dodicenne davvero particolare.
Il film unisce realtà e leggenda, a tratti sembra richiamare Babadook di Jennifer Kent. Il mostro all’epoca si nascondeva in un seminterrato e rappresentava il lutto, il dolore legato alla memoria. L’unico modo per sconfiggere il demone era accettare la sofferenza, superare la perdita. Anche questa volta l’essere diabolico è rinchiuso dietro pesanti serrature.
Cooper utilizza l’horror per riflettere sulla violenza domestica, sugli abusi. Il terrore nasce dalla molestia sui più piccoli, la creatura ancestrale da eliminare è il pretesto per andare oltre. Così Antlers si trasforma in un racconto di denuncia, che però non riesce a controllare le sue ambizioni. Il cineasta di Crazy Heart osa pochissimo, non cerca nuove strade, segue le regole del filone legato alle mutazioni fisiche. A un certo punto si omaggia anche Alien.
Peccato, perché nel cast c’è l’ormai lanciatissimo Jesse Plemons, e tra i produttori spicca il nome di Guillermo del Toro. Il brivido non arriva mai, a restare interessanti sono più le premesse che la narrazione. La seconda parte è sbrigativa, la chiusura della parabola di espiazione e rinascita frettolosa. Forse la vicenda avrebbe avuto bisogno di un respiro più ampio, evitando colpi di scena e svolte prevedibili. Anche gli effetti speciali nelle sequenze più concitate non brillano. E di case maledette e anfratti oscuri nella foresta ne abbiamo visti già troppi.