Il suono del trillo di una campanella irrompe nel silenzio dello schermo in nero con cui prende inizio Antikvariati di Rusudan Glurjidze, regista georgiana alla sua seconda prova cinematografica.

Al trillo segue una voce che invita i presenti ad accogliere la Corte Europea dei Diritti Umani che giudicherà il responsabile massimo sul caso Georgia vs Russia per le espulsioni/deportazioni di migliaia di georgiani immigrati in territorio russo, mal-trattati come i peggiori tra i delinquenti e riportati nel loro paese di origine come bestie “caricate” su aerei, e accovacciati dove e come era loro possibile.

I fatti narrati si rifanno a eventi della storia recente. Si svolgono nel 2006, in una San Pietroburgo invasa dalla neve ghiacciata e fangosa. Lado è un giovane (e immaturo) georgiano, vettore del contrabbando di antiquariato per una ineffabile signora di cui si sente solo la voce attraverso diffusori audio dislocati in tutti gli spazi dell’immenso deposito.

Come un “grande fratello”, il suo occhio elettronico arriva dappertutto per controllare le sue preziose proprietà e il lavoro dei dipendenti. Lado è innamorato di Medea, sua connazionale, astuta come il personaggio di cui porta il nome, vera protagonista della storia insieme al vecchio Vadim Vadimich. Costui è il proprietario di un grande e antiquato appartamento in un prestigioso palazzo della “Leningrado sovietica”, in vendita a un prezzo più che vantaggioso a patto che il vecchio proprietario continui a convivere con i nuovi sino alla sua “dipartita”.

Interessata all’affare, Medea inizia a coabitare con l’anziano signore condividendo con lui momenti gradevoli (la passione per il curling o la cena al ristorante) e meno piacevoli (i rimbrotti per non avere rispettato le condizioni per la convivenza). Ciononostante la vita va rispettosamente avanti con gli impegni lavorativi e sentimentali della giovane Medea e le passioni musicali o gli acciacchi del vecchio Vadim, sino a quando… Peter, figlio unico di Vadim, fa visita all’anziano padre; per Lado si interrompono i giorni nell’antica capitale russa; la polizia irrompe nel deposito di Manana; l’Alzheimer prenderà il sopravvento su Vadim. Un vecchio armadio, che Medea aveva notato al suo arrivo nel sontuoso, ma disastrato, appartamento, avrà un ruolo determinante nell’amicizia tra la protagonista e Peter e nei loro personali destini.

Ciò che affascina in questo film verboso della Glurjidze è la scelta di una fotografia che restituisce allo spettatore una San Pietroburgo dominata prevalentemente da un azzurro elettrico che rende “fredde” le relazioni, in una città resa ostile dall’atteggiamento persecutorio della polizia, alla ricerca di intrusi non graditi.

Sono immigrati accusati di rendere insicura la città, con esigenze abbrutite dal bisogno che collimano con quelle dei cittadini per bene. E il film è proprio un j’accuse contro le politiche antimigratorie che impediscono ai “cittadini del mondo” di provare a realizzare la speranza di una vita più degna, che apra a possibilità improbabili nel proprio paese di origine.

Antikvariati - spiega la regista - è una parabola commovente sulle speranze e le aspirazioni dei migranti in un mondo incerto, ma illustra anche i modi indiscriminati e crudeli in cui la politica fa deragliare le vite umane”.

È una denuncia attuale che si ripete a poca distanza dagli eventi del 2006 e che continua a vedere protagonisti uomini e donne di molti paesi del mondo che hanno avuto la sfortuna di nascere in contesti più sfavorevoli, ai quali non è riconosciuto il diritto di muoversi in cerca di una vita migliore. Diritto, tra l’altro, sancito dall’articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (ONU, 1948). Una convivenza tra il vecchio e il nuovo, tra l’antica chiusura rappresentata da Vadim e la novità dell’autorealizzazione incarnata da Medea. Il loro rapporto però è dialogante e si spegne solo con l’avanzare della demenza dell’anziano protagonista.

L’antico non può e non deve trasformarsi in anticaglia senza valore e futuro. In fondo, solo la capacità razionale di un uomo di cultura, il cui temperamento è addolcito dalla bellezza, può rendere possibile una convivenza dialogante e far scaturire la ragionevolezza, il buon senso e la solidarietà. I diritti nascono dalla storia e dall’esperienza per favorire la non ripetizione di fatalità disumane e distruttive. E, parafrasando Goya, quando la ragione si spegne, non può che generare mostruosità. Il riferimento a Fëdor M. Dostoevskij, fra l’altro di San Pietroburgo come Vadim e come il leader russo di cui torna la voce alla fine della storia, è spontaneo.

Lo scrittore, riconosciuto universalmente come un grande intellettuale, affermava che solo la bellezza può salvare il mondo. Solo il valore della bellezza farà sì che l’antico non sia antiquato, come l’antiquariato dei mercatini che si vedono nel film e che pullulano in ogni dove, anticaglie che rischiano di essere espressione di un popolo dalle grandi tradizioni svendute alla difesa nostalgica di una grandezza che rischia di scadere nella ricerca anacronistica di un tempo definitivamente affidato alla storia.