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Another Year
Passano le stagioni per Tom e Gerri (coppia ironica e inossidabile già nel nome…), coniugi 60enni che in stabile equilibrio, e nelle piccole cose, portano avanti il loro matrimonio in una bella casetta con orto e giardino nella periferia londinese.
Insieme alla primavera, all'estate, all'autunno e all'inverno, trascorrono anche i rapporti con parenti (il figlio con nuova fidanzata al seguito, il fratello di Tom, da poco vedovo, silenzioso e ferito) e amici abituali, tra i quali l'irresistibile, disperata alcolista Mary (Leslie Manville) e il goffo, simpatico e depresso Ken (Peter Wight).
Mike Leigh ritrova il gusto della sinfonia corale, della quotidianità quale miglior maniera per raccontare l'esistenza, a quasi quindici anni di distanza dal suo film più celebre (Segreti e bugie), lasciando ampio margine di manovra ad un cast superbo che, senza fronzoli, alternando dialoghi brillanti a silenzi ancor più esplicativi, ruota con pari talento intorno a Jim Broadbent e Ruth Sheen, ingegnere geologo lui, psicologa lei, interpreti perfetti di un amore “tranquillo”, reso solido anche grazie all'inesorabile scorrere del tempo: “un altro anno” (come da titolo) diventa dunque insieme all'ambiente predominante (la casa dei due quale punto di ritrovo, l'orto da coltivare simbolo di un processo, anche amoroso, che senza cure non potrà mai dare i suoi frutti) il vero protagonista di una rappresentazione che non parte da A per arrivare a B, ma che fotografa il passaggio, l'ennesimo, verosimilmente non l'ultimo, di un microcosmo scovato e reso nell'intimità delle proprie azioni, emozioni. Che si mantengono sempre a distanza di sicurezza dal sentimentalismo patetico, addirittura rischiando di sembrare sin troppo umane per essere vere. Un “peccato” di perfezione che nulla toglie alla sostanza e all'autenticità del film (in concorso a Cannes lo scorso anno, rimasto ingiustamente a bocca asciutta), dedicato a Simon Channing Williams, storico produttore di Mike Leigh, scomparso nel 2009.