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Animazione a passo uno sull’impasse multiplo delle nostre vite. Cartesiano, geometrico con humour, soprattutto, sensibilissimo al timbro vocale: Charlie Kaufman, già visto in concorso a Venezia e candidato all'Oscar, con la prima animazione e la seconda regia della sua carriera, Anomalisa.
Diretto a quattro mani con Duke Johnson, il film prenota un posto al sole in palmares, e lo fa con una perfetta sincronia tra i caratteri e i setting animati - diciamo, lo stile – e la poetica post-esistenzialista, che gira intorno all’eterno, e kaufmaniano, “chi sono, chi siamo?”. Se Miller poteva teorizzare, e scrivere, la Morte di un commesso viaggiatore, 66 anni più tardi c’è tempo, e modo, solo per la Vita di un conferenziere viaggiatore, soprattutto, perché non sappiamo più ascoltare, ovvero decodificare e discernere parole, voci e individui, sappiamo nel migliore dei casi solo parlare. Ovviamente, di noi. Poveri noi, dunque, la cacofonia a una sola voce che siamo: se manco possiamo distinguere il significante, come potremo mai darci e trovare un significato?
L’anomalia, non a caso, incontra un nome proprio, e trova la crasi di (non)senso: Anomalisa. Lei è Lisa Hesselman (voce di Jennifer Jason Leigh), la sgraziata, sfigata team leader di un call center di Akron, Ohio: è a Cincinnati, nel lussuoso Fregoli Hotel, per sentire l’indomani la conferenza di Michael Stone (David Thewlis), marito, padre e, soprattutto, autore del saggio di successo How May I Help You Help Them?, scritto ad hoc per aumentare la produttività dei customer care, i servizi clienti. Nel campo, Michael è una star: problema, non è molto altro. A Cincinnati cerca, disastrosamente, di portarsi a letto una ex che non vedeva da 10, pardon, 11! anni, poi vaga ubriaco per strada, scambia un negozio di giochi erotici per uno di giocattoli (compra comunque qualcosa per il figlio), finché, rientrato in albergo, non sente in corridoio una voce melodiosa o, semplicemente, diversa dal basso continuo, da quell’unico timbro (Tom Noonan) con cui tutti, uomini e donne, gli si rivolgono (almeno, lui li sente così): bussa a una dozzina di porte, finché – è in camera con un’amica, ed è lì per sentire la sua conferenza – non trova Lisa. Che fare? Portarla nella propria camera, ma…
Kaufman è sempre Kaufman, soprattutto nel bene: Anomalisa forse segnala addirittura una nuova via per l’animazione per adulti, di certo, continua il percorso del Nostro, che ha humor, tristezza e profondità insondabili perfino in esubero: grazie a Dio, lascia a noi l’ermeneutica e tutto il resto, di Anomalisa dice solo che “è circa un’ora e mezza”. Risposta geniale, e tratti di genio, meglio, movimenti di genio ci sono in questi ’90, in cui ritroviamo tanto, e bene, del nostro sopravvivere oggi: chi siamo noi? Che cosa vogliamo? Chi è chi ci sta attorno? Soprattutto, c’è qualcuno che ci ascolta, ovvero, ascoltiamo qualcuno, avvertiamo qualcosa che non sia un unicum indifferenziato?
Semioticamente (sic), Anomalisa è un film sul rumore, quel che disturba il canale delle comunicazioni di noi con noi stessi e di noi con il mondo: bene, ci dice Kaufman, quel rumore siamo noi. Oggi non si può nemmeno più essere John Malkovich, pensarsi sineddoche, nulla: non si può essere individuo, se si è social. E bisogna essere autenticamente, inattualmente (no nerd e geek) sfigati per essere se stessi, dunque diversi. O forse no, forse almeno Kickstarter - piattaforma di crowdfunding su cui il film è stato finanziato - serve: bravo Charlie, applausi. Ovvio, scanditi e distinti.