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Animali randagi
Un viaggio on the road in ambulanza. Questa la principale novità dell’opera prima di Maria Tilli. In sostanza il mezzo di trasporto per il resto gli elementi ovvero il contenuto è il solito dei film su quattro ruote: litigi e riavvicinamenti, serate un po’ sballate, possibili amori futuri e riunioni familiari.
Insomma un po’ alla 50 km all’ora con Fabio De Luigi e Stefano Accorsi, che a bordo di due motorini scassati (un Ciao e un Califfone) ormai obsoleti ci portavano attraverso l’Emilia Romagna. Questa volta c’è una sirena e protagonisti non sono due fratelli, ma due amici, due paramedici, interpretati da Giacomo Ferrara e Andrea Lattanzi, che si ritrovano a trasportare Emir (il bravo Ivan Franek), malato terminale, accompagnato da sua figlia (Agnese Claisse), verso il suo paese natio: la Serbia. Per curarsi? No, al contrario per porre fine alle sue sofferenze. Quindi per morire.
È Animali randagi, un film che vuole riflettere sul senso della vita, che parla di argomenti importanti (e all’ordine del giorno) come la libertà di scelta e di come questa di rifletta sugli altri. ma che lo fa rimanendo sempre in superficie e non riuscendo mai ad andare in profondità di un tema che meriterebbe ben altro approccio.
Fatto sta che questo film, prodotto da Eagle Original Content con Rai Cinema, fatto di “animali randagi” che girano e si spostano senza tornare mai agli stessi posti non riesce (purtroppo) ad appassionare vuoi per la storia già vista o vuoi per il mancato approfondimento psicologico dei personaggi (il più riuscito è quello interpretato da Ivan Franek). Ma soprattutto che succede quando contraddicendo quel che diceva il poeta T. S. Eliot l’importante diventa la meta e non il viaggio? A maggior ragione se il film è tutto e solo un viaggio? A voi la risposta.