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Darya Ekamasova in Angeli della rivoluzione
Ancora un tuffo nel passato per Alexey Fedorchenko. Il regista russo, dopo Silent Souls e Le spose celestiali dei mari di pianura, torna nell'Unione Sovietica degli anni '30 e ci riporta a Kazym, nella taiga sulle sponde del fiume Amnja, dove il regime istituì un centro culturale che comprendeva una scuola, un ospedale, un ambulatorio veterinario e un museo. Ma i nativi, gli Ostiachi e i Nenci della Foresta, non accettavano questa nuova cultura: le loro antiche divinità vietavano ogni forma di contatto con i russi. Per tentare di risolvere la situazione, i piani alti decisero di inviare cinque artisti - un compositore, uno scultore, un regista di teatro, un architetto e un famoso regista cinematografico, guidati dalla leggendaria "Polina la rivoluzionaria" - per conciliare due culture così profondamente agli antipodi.
Attraverso il registro della fiaba a tratti surreale, sfruttando abilmente la sospensione di suggestive fusioni tra teatro popolare e antichi rituali, Fedorchenko - al quale il Festival di Roma assegna oggi il Marc'Aurelio del Futuro - riporta a galla i drammatici eventi avvenuti nel 1934, ricordati dagli abitanti locali come la Grande Guerra dei Samoiedi: evitando i facili parteggiamenti, il regista russo ci presenta dapprima la figura (quasi mitologica) di Polina (Darya Ekamasova), per poi passare alla descrizione dei cinque artisti d'avanguardia. E' la fase più "divertente" del film, dove i fasti della rivoluzione d'ottobre trovano campo fertile nella sperimentazione di nuovi linguaggi (la figura del regista è una sorta di sintesi dichiarata tra Dziga Vertov e Ėjzenštejn, con tanto di citazione e ricostruzione dell'incompiuto Que viva Mexico!...). La stessa "sperimentazione", se si vuole, che gli "angeli della rivoluzione" tentarono di attuare nel processo di convincimento con i nativi di Kazym. Con esiti a dir poco traumatici... A differenza di quanto si può dire del film di Fedorchenko, più che riuscito nella riflessione sull'incomprensione tra culture e civiltà altre e nel saper tratteggiare lo spirito di un'epoca che, all'indomani della caduta zarista, prometteva prosperità e progresso, senza dimenticare che laddove non bastavano le buone, laddove l'agit-prop non riusciva a far leva (anche realizzare un filmino evocativo per convincere i locali a non dipendere dalle divinità non diede i frutti sperati...), il passo successivo era quello di imporsi con la forza... Un film magico e sospeso, fiabesco e doloroso.