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Qualche volta, ai giornalisti viene riconosciuto il merito di essere ancora eroi del nostro tempo. Ne sono passati di decenni dal mitico: “È la stampa, bellezza”, pronunciato da Humphrey Bogart in L’ultima minaccia. Adesso il sistema è cambiato, ma la ricerca della verità non smette di minare le fondamenta del potere.
Nell’epoca in cui tutto è post-, manipolato, poco chiaro, imbrigliato in un flusso costante di omologazione, le inchieste, i muckraker (coloro che affondano le mani nel fango) rivendicano la loro centralità. Da Tutti gli uomini del presidente in avanti, è nato un filone ben codificato, vibrante, che non smette di infiammare le coscienze. Il caso Spotlight di Tom McCarthy si aggiudicò l’oscar per il miglior film.
Adesso è la regista Maria Schrader a immergersi nella redazione del New York Times e a raccontare lo scandalo Harvey Weinstein in Anche io, che in realtà si legge #metoo. Un film serrato, fluviale, a tratti documentaristico, che rifiuta i toni da comizio e, in modo solido, si focalizza sull’incedere degli eventi, sul dolore delle vittime, su una barriera di silenzio da abbattere. Nessun vezzo, una regia rigorosa e una profonda attenzione per il dettaglio sono gli elementi principali di un’epopea sull’oggi, sempre attuale, che vuole essere il manifesto della difesa costante di ogni diritto.
Anche io è un duello, uno scacco al maschilismo tossico, alla Hollywood che usa il corpo come merce di scambio. Da una parte la violenza psicologica e fisica del produttore, dall’altra la funny girl di provincia schiacciata dal sogno americano. Intrigante è la sequenza in cui Weinstein si presenta nella sede del New York Times per provare a bloccare il tornado in arrivo. Viene inquadrato sempre di spalle, mai in viso. È come se fosse un simbolo, uno dei tanti, solo la punta dell’iceberg, mentre si sta per scatenare la tempesta.
Maria Schrader si sofferma ancora sul legame tra le donne e la società. Nella miniserie Unhortodox la figura femminile era assediata dalla tradizione, in I’m Your Man ci si chiedeva di che cosa si parla quando si parla d’amore, in pieno stile carveriano. Anche io è però forse il suo lavoro più riuscito dietro la macchina da presa, senza però dimenticare il suo talento di attrice dimostrato soprattutto in Aimée & Jaguar di Max Färberböck. La cronaca si riversa in un film potente, e finalmente, in un contemporaneo di immagini sempre redacted (alla De Palma), la parola uccide più che la spada.