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Ana mon amour
Poche volte come in Ana mon amour, il film di Čalin Peter Netzer in concorso a Berlino 67, la psicoanalisi informa l’intero processo narrativo e cinematografico del film diventando una seduta lunga 127’ raccontati per associazione di idee, salti temporali proprio come durante il racconto di una vita dal lettino.
Questa vita è quella di Toma che racconta del suo rapporto con Ana, una ragazza piena di problemi psicologici e familiari sull’orlo della pazzia e della loro complessa e tormentata storia d’amore. Netzer (autore della sceneggiatura con Cezar Paul Bădescu e Iulia Lumânare), che ha già vinto un Orso d’oro 4 anni fa con Il caso Kerenes, sceglie la via del dramma in prima persona e mostra una notevole disinvoltura narrativa nel mescolare i piani e dare a questo rimescolamento un senso che non sia solo talento drammaturgico.
Procedendo come in un puzzle in cui ogni pezzo è connesso al precedente e al successivo solo in termini concettuali, Ana non amour riesce a riflettere su quale ruolo svolgano le istituzioni - familiari, religiose, mediche, sociali o politiche - nella crescita della psiche, nelle distorsioni di una mente, toccando momenti da preciso affresco nazionale dentro la cornice di una storia d’amore dissezionata. Ma dopo poco più di metà film in cui Netzer gioca con le ellissi e le aspettative dello spettatore, cova sempre più il sospetto della maniera, del meccanismo che prevale su tutto: sospetto che la “svolta” mélo conferma in piena.
Non ci sarebbe niente di male, anzi film come Il mio re di Maïwenn o CinquePerDue di Ozon mostrano come la dissezione anti-cronologica di un amore sia materiale ottimo, ma Netzer così facendo si adagia sugli elementi più facili del suo racconto, sembra voler utilizzare il suo talento di narratore come escamotage per accalappiare lo spettatore, gioca di furbizia e pigramente tralascia la profondità e nel finale gioca anche sporco. Oltre alla considerazione che lo stile fatto di macchina a mano sempre in movimento e inquadrature molto ravvicinate diventa quasi un atto di voyeurismo (scene di sesso realistiche con tanto di eiaculazione e non solo) più che di nervosa analisi. Svelando anche al negativo una certa maniera del cinema rumeno.