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Una donna gettata di fronte all’apocalissi: dell’ambiente e dei sentimenti. Il cinema e il fumetto. Napoli e un mondo ridotto a landa devastata.
Ecco l’Amore postatomico secondo Caiazzo: storia torbida e sconfortante, di umanità canina, ferina, senza compassione, divisa tra due emisferi in cui si riflettono due medium di narrazione diversi sì, ma con tanti, vicendevoli sconfinamenti.
A suturarli i boccoli mossi, gli occhi neri, la matita visionaria di Concetta, anzi Titti Parente (Virginia Apicella): giovane, talentuosa fumettista napoletana, orfana di padre, con madre apicultrice. Quando, però, sta per licenziare il graphic novel della vita, scritto con il suo sodale Ivan (Ludovico Girardello) si ritrova vittima di un ricatto: dopo una serata in discoteca, un rampollo del Vomero riprende la notte di sesso con Titti. In un amen, il video rimbalza su tutti i cellulari della città che, tra ipocrisia e becerume stradaiolo, prende a linciare la povera ragazza.
Anche il tentativo di ribellarsi, di denunciare il ragazzo, però, finisce insabbiato dall’omertà delle istituzioni (il corpo di polizia), dai mille cavilli degli Azzeccagarbugli partenopei, dall’ipocrisia del suo direttore editoriale che la allontana dalla città, dall’indifferenza di quanti si sentono in diritto di denigrare una donna colpevole solo di aver subito la più viscida delle molestie.
Dall’altra parte del film di carta, intanto, la penna di Titti anima Mileva, eroina incappucciata dal ciuffo
vermiglio, costretta a vagare tra vallate spopolate e casolari diro ccati. A unire Titti e Mileva, realtà e proiezione creativa, Napoli e l’Armageddon, è la brutalità impunita della violenza: anche l’eroina del fumetto è seviziata da una banda di impostori intenta, videocamere in mano, a vietare ogni coltivazione agli ultimi superstiti della Terra.Violenza sessuale, società del video-controllo totale nell’incontrollabilità della rete, un maschile belluino e un femminile solidale nel sopruso. E poi la Natura devastata (le api che coltiva la madre di Titti, sterminate, tranne una che sopravvive nel fumetto della figlia), su questo pugno di temi ruota una scrittura a sei mani che balla tra il realismo e il fantastico, e pecca, però di genericità, flirta spesso con il grottesco e si abbandona a dialoghi “telefonati”.
Il risultato è un film esangue e binario, spaccato in due metà che cercano di completarsi in un’allusiva ragnatela di sensi, assonanze, corrispondenze, compresenze di significati intorno alla recitazione, sovente monocorde, ma comunque intensa di Virginia Apicella (Nostalgia).
A ben pensarci, poi, anche la margherita di temi snocciolati, pur nella sua inquietante attualità, è arcinota e abbondantemente cinematografata: la malagiustizia, le discriminazioni di genere, le ingiustizie sociali, il moralismo sessuale come strumento di controllo patriarcale, il revenge porn.
Di conseguenza, Amore postatomico si rivela come un film troppo ingenuo, zavorrato ai suoi cliché, sconfortato di fronte al presente, ma comunque fiducioso nel riscatto futuro di donne barricadiere capaci di innalzare l’asticella della civiltà, della solidarietà, pur tra le macerie, sia affettive che ambientali.
Perché nonostante il fondale spudoratamente hollywoodiano incrociato con quello dei cartoons (almeno per metà storia), lo steccato di genere scavato da Caiazzo è profondo: da un parte uomini – Ivan a parte - bavosi, ormonali, cinici e opportunisti (l’avvocato padre del violentatore), voltagabbana e ignavi (il comando di polizia), dall’altro donne impavide che si sostengono, si fortificano e si coalizzano (Titti, la madre, la giovane avvocatessa, poi anche la migliore amica della fumettista), consce di lottare per un video proibito che diventa presupposto di una battaglia culturale, di un rinascimento morale per dare dignità alle donne in quanto tali e, mai più come strumento di piacere e di potere del maschile.
L’impressione, però, è che il film,
pur con tutte le sue buone intenzioni, i suoi pungoli di dibattito, d’ingentilimento sociale, pur con il suo finale alternativo, arrivi in ritardo rispetto sulla Storia, così da perdere quella dirompenza, quella provocatorietà nella denuncia di drammi in cui la nostra società annaspa già da tempo.Nonostante la vicenda cada nel 2015 – un anno dopo il suicidio di Tiziana Cantone, vittima di un noto episodio di r
evenge por n -, infatti, tutte le storie apocalittiche, anzi postatomiche rivendicano il loro valore predittivo, e con questo il loro portato di cambiamento. Caiazzo, insomma, volendo profetizzare il futuro, ci indica una devastazione che è già qui, che viviamo ogni giorno. Gli uni contro le altre, e tutti contro il pianeta Terra. Una devastazione di cui, soprattutto, grazie al cinema ma non solo, conosciamo già rimedi e correttivi.