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Come abbandonare lo spossante lavoro in un cantiere, rubare una macchina che scotta e ritrovarsi avviluppato all’interno di una matassa di guai difficile da sbrogliare. È quanto accade a Mousa, giovane ladruncolo protagonista di Amore, furti e altri guai, lungometraggio del regista palestinese Muayad Alayan. A metà fra dramma e commedia nera, la storia di Mousa si snoda sui ritmi lenti ma inesorabili di un destino che si muove con ironica fatalità e sembra predisporre la vita degli uomini al pari di un giocatore che sposta le sue pedine su di una scacchiera.
Sullo sfondo del sempre irrisolto conflitto arabo-israeliano, il film di Alayan si lascia seguire sino in fondo, suscitando la giusta empatia nei confronti del protagonista perseguitato dalla sorte, voce e corpo di un popolo che ha l’unico desiderio di vivere un domani migliore.
Ben scritta, ben recitata e filmata in uno splendido bianco e nero fra Wenders e il primo Jarmusch, nonostante il budget della produzione mostri, qui a là, i suoi innegabili limiti, questa piccola opera ha comunque il pregio di sapere esattamente che cosa vuol raccontare e di sapere, soprattutto, come farlo poggiando su meccanismi narrativi tanto semplici quanto efficaci.