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Filippo Contri e Filippo Tirabassi in Amici per caso
L’incipit è a suo modo un manifesto: una piazza tipicamente italiana (Terni nella fattispecie), una proposta di matrimonio, un numero musical sui titoli di testa, un diniego a chiudere e a dare il via alla storia. Al netto di ingenuità e sciatterie sparse, è interessante perché indica l’ambizione di una commedia romantica comprensibile anche fuori dai confini nazionali. Il problema è che Amici per la pelle esaurisce subito questa vena un po’ bizzarra, incanalandosi ben presto nello schema più rassicurante della commedia degli equivoci. Tant’è che è proprio un equivoco, gigantesco e improbabile, a innescare il racconto.
Omero, rimasto da solo a casa (e che casa) dopo aver dato rifiutato la proposta matrimoniale del compagno, cerca un coinquilino per dividere le spese e mette un annuncio su un giornale (su un giornale…) in cui richiede una persona “gay friendly”. Lo legge Pietro, maschio etero basic, appena lasciato dalla ragazza esausta perché sempre in secondo piano rispetto alla Roma e agli amici: solo che lo legge male, una macchia di caffè copre “gay” e l’amico trucido gli fa intendere che quel “friendly” sta per “pagamento in nero”. Omero capisce il soggetto e gli tiene nascosta l’omosessualità, finché Pietro lo scopre e va in crisi.
Il messaggio è nobile (inclusivo e progressista) e il percorso di crescita esemplare (l’ignoranza può essere corretta), l’attinenza con l’attualità non è peregrina (le violenze omofobe sono all’ordine del giorno) e la chiave d’accesso alla portata di tutti (l’amore vince sempre). E però Amici per la pelle – che recupera l’equivoco del “coinquilinaggio” tra etero e gay già al centro di Lui e l’altro, corto di Nardari del 2011 con Alessandro Borghi – si ferma lì, televisivo per vocazione (lo streaming come destinazione ideale) si adagia su schemi tanto consolidati da risultare consunti.
Come figure e funzioni, Filippo Contri e Filippo Tirabassi funzionano anche se al limite della caricatura (biondo e aitante il primo, raffinato e composto il secondo), ma la direzione degli attori sembra qua e là un po’ approssimativa (ci sono anche Rocco Fasano e Beatrice Bruschi da SKAM e la rediviva Marina Suma, ma anche Mirko Frezza che gigioneggia e un improbabile Daniel McVicar come sindaco), il ritmo non è proprio effervescente, la (doppia) ricomposizione finale mai davvero in discussione, l’andamento piuttosto prevedibile. E quell’ipotesi di una commedia più stravagante e meno borghese (quelle case…), resta una promessa mancata.